L'appello di Benedetto XVI per la Somalia, il Burundi, il Darfur: un commento di Raffaello
Zordan
L’appello in favore della stabilizzazione in varie zone dell'Africa, levato ieri da
Benedetto XVI al Regina Coeli, giunge in un momento molto particolare per il
continente. Il riacutizzarsi delle tensioni in Burundi, Kenya, Somalia, Sudan e Repubblica
Democratica del Congo rischia di destabilizzare ulteriormente i già fragili equilibri
africani. Ma quanto possono influire le parole del Papa su queste crisi? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto a Raffaello Zordan, redattore della rivista dei
padri Comboniani “Nigrizia”: R.
- Ci auguriamo tutti che possano influire, nel senso che la comunità internazionale
non deve distogliere l’attenzione da alcune realtà specifiche. Naturalmente, se pensiamo
alla Repubblica Democratica del Congo, il Paese è attraversato da un processo di transizione
verso la democrazia. Nel nord-est però - cioè nell’area vicina a Uganda, Rwanda, Burundi
- ci sono storicamente delle destabilizzazioni croniche e bisogna lavorare. Ci sono
truppe ONU, c’è l’attenzione internazionale: il Papa rafforza l’idea che bisogna mantenere
un presidio e accompagnare questa democrazia. Per il Darfur, invece, la cosa è ancora
più complicata, perché stiamo nel bel mezzo di un processo di pacificazione. Il Darfur
è utilizzato come "merce" di scambio dal governo di Karthoum per fare pressioni sul
Sud Sudan, per allontanare la possibilità che si arrivi alle elezioni ed anche eventualmente
all’autodeterminazione del Sud Sudan.
D. - Come realizzare
nel concreto, secondo te, le parole del Pontefice, che ha parlato della necessità
di porre solide fondamenta alla pace e allo sviluppo?
R.
- Concretamente, in ogni momento in cui la comunità internazionale si riunisce, ragiona
- pensiamo all’Europa - sui temi africani, l’Africa deve trovare un suo specifico
spazio, essere presente anche nei giornali, quindi nell’opinione pubblica: trovare
insomma maggiori momenti per essere presa in considerazione, anche perché quelle crisi
possono riverberarsi qui da noi.
D. - Le parole del
Papa, secondo te, lasceranno comunque un segno?
R.
- Sicuramente lasceranno un segno in tutti quegli operatori che, a vario titolo, hanno
relazioni con il continente africano e hanno intenzione di operare in quel continente
con dei criteri, nel rispetto dell’uomo e dei suoi diritti. Poi la comunità internazionale
sappiamo che ha i suoi tempi, le sue priorità. Molto spesso si fa invischiare in tentativi
poco chiari anche di mediazione. E forse queste parole possono indicare una pista
o per lo meno ridisegnare la mappa delle priorità. Certo, sappiamo che sono indicazioni
che non sono vincolanti per gli Stati e per chi fa la politica.