Sugli schermi in Italia "I demoni di San Pietroburgo", film che segna il ritorno di
Giuliano Montaldo. Il regista ai nostri microfoni
Giuliano Montaldo è tornato dietro la macchina da presa dopo diciotto anni di assenza
con l’intenso film, in questi giorni sugli schermi cinematografici, "I demoni di San
Pietroburgo", rapito da un’idea di Andrei Konchalovsky, tradotta in soggetto cinematografico
da Paolo Serbandini, ed entrando così finalmente nel mondo di Dostojevskij, evocato
anche dalla bella musica di Ennio Morricone. Il servizio di Luca Pellegrini:
Il lungo
tempo lontano dal cinema, Giuliano Montaldo lo ha dedicato alla lettura e alla regia
lirica, senza però creare fratture con le sue opere più famose, chiamate erroneamente
“trilogia del potere”, mentre lui ha sempre dichiarato di preferire “trilogia dell’intolleranza”:
sociale con Sacco e Vanzetti (1971), religiosa e culturale con Giordano Bruno (1974),
morale e politica con "Gli occhiali d’oro" (1987). Ora, un’algida e fremente San Pietroburgo
viene in parte ricreata nei palazzi piemontesi, impeccabilmente fotografati da Arnaldo
Catinari. Gruppuscoli di giovani terroristi, imbevuti di utopia, che minano il potere
autocratico dello zar e sono distanti dalle vere sofferenze del popolo, incarnano
il demone della società russa di quegli anni - ne mancano soltanto cinquanta alla
vera rivoluzione - mentre il cuore dello scrittore sanguina per amori non corrisposti
e ideali esplosi nei suoi incubi. Nel film sono le contrapposizioni ad intessere una
ragnatela di sospetti e ribellioni: quella di Dostojevskij, ed è il volto pensoso
di Miki Manojlovic, nei confronti dei circoli ispirati da Bakunin; quella degli intellettuali
contro il potere, quest’ultimo impersonato dall’ispettore di polizia Pavlovic, affidato
ad un ispirato Roberto Herlitzka; quella di Natalia che incanala, forse fallendo,
le energie affettive e artistiche di Fjodor. Chi è alla ricerca della conservazione,
chi dell’affermazione, chi della ragione, chi dell’utopia, chi del trascendente. Dostojevskij,
insomma, è stato per lui una ventennale ossessione. Dove ha avuto origine? Giuliano
Montaldo:
R. - Ho pensato che all’interno
di questa storia ci fossero tante vicende. Ho letto, ovviamente, tanto di Dostojevskij,
ma sono convinto che la sua vita sia stata il suo libro più bello. Mi ha colpito che
un uomo di così tanto talento, di così tanto successo, avesse vissuto così fortemente
i tormenti dell’anima in questa ricerca inesausta dell’uomo, delle ragioni dell’uomo,
con lo sforzo di guardare in alto, cercando Dio e domandandosi: l’uomo, se ne allontana,
allora dove va? D. - Si descrive come un contestatore inerme:
che cosa contesta?
R. - Ce l’ho con chi mi ha rubato
l’ottimismo: è un furto gravissimo. Chi è il ladro di ottimismo, in questa società
in cui viviamo, così orrendamente buttata sul consumo del banale, non del necessario?
Questo io contesto, sì, con tutte le mie forze, che sono debolissime. Perché chi non
ha l’ottimismo è un reduce indebolito di una guerra persa.