Burundi: cresce la preoccupazione per gli scontri tra esercito e guerriglia
Dopo i conflitti etnici degli anni ’90, il Burundi torna al centro dell’attenzione
delle cronache internazionali. Nei giorni scorsi, nella regione a nord della capitale
Bujumbura, si sono registrati violenti scontri tra militari regolari e l’ultimo gruppo
di ribelli ancora attivo nel Paese, che non aderisce al cessate il fuoco del 2003.
I combattimenti, che hanno provocato alcune decine di vittime, hanno anche costretto
alla fuga almeno un migliaio di civili. Sulla situazione, che si sta vivendo nel Paese
africano dei Grandi Laghi, Giancarlo La Vella ha raccolto la testimonianza
del padre comboniano, Elio Boscaini, per anni missionario in Burundi:
R. –
Ci sono l’esercito nazionale e le forze nazionali di liberazione. Queste, dopo l’attacco
alla capitale nei giorni scorsi, sono ora presenti, soprattutto, in quella parte che
è sempre stata una zona di opposizione al regime. Ma ciò che mi sorprende è la violenza
di questi scontri, quando ormai anch’io ero tra quelli che pensavano che queste forze
fossero state neutralizzate dagli accordi di pace e dal cessate il fuoco. Vuol dire
che le cose non vanno così bene probabilmente nel Paese, come ci eravamo illusi. E'
necessario che il regime ripensi al suo modo di rapportarsi alla popolazione. Credo
che anche il Burundi sia colpito dai prezzi che salgono e dall’insofferenza della
gente. La popolazione vede come non si trovino soluzioni ai problemi immediati.
D.
– La matrice di questi scontri, quindi non è soltanto politica...
R.
– Secondo me, non c’è soltanto la politica; c’è certamente un problema sociale, quindi
un problema di popolazione che soffre; una popolazione, i cui desideri, aspirazioni
non vengono soddisfatti. Un inizio di soluzione, però, si potrebbe pretendere, perché
anche il Burundi soffre evidentemente di una situazione che mi pare essere piuttosto
diffusa in Africa. Ci sono manifestazioni popolari in diversi Paesi dell’Africa, il
che mostra il disagio sociale che sta vivendo il continente tutto intero e non solo
il Burundi.
D. – Che cosa può fare la comunità internazionale
per il Burundi?
R. – Penso che la comunità internazionale
debba fare molto. Deve stimolare il governo ad accogliere le rivendicazioni di questo
gruppo. E’ l’ultimo gruppo che non si è adeguato. Quindi, il dialogo non dovrebbe
essere mai precluso, neanche di fronte a queste forze che, probabilmente, non rappresentano
certamente l’avvenire del Burundi. Ma mostrano il disagio e quello che i burundesi
stanno vivendo.
D. – Cosa chiedono concretamente
i ribelli?
R. – Chiedono la loro presenza evidentemente
al governo e un maggiore sforzo di democratizzazione.