È una consegna piena, totale e senza limiti nelle mani di Dio il testamento di mons.
Paulos Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto dopo 14 giorni di
sequestro lo scorso 13 marzo. Nel testo, pubblicato dal sito in arabo Ankawa.com,
il presule lascia un forte messaggio di amore e di fratellanza per tutte le comunità
religiose dell’amato Iraq ricordando con particolare tenerezza i disabili della “Fraternità
di Carità e Gioia”, da lui fondata nel 1989: “Da voi ho imparato l’amore, voi mi avete
insegnato ad amare”. Rivolgendosi poi ai suoi familiari – riferisce l’agenzia AsiaNews
– il presule ammette con semplicità: “Io non possiedo niente e tutto quello che possiedo
non è mio. Io stesso ero una proprietà della Chiesa, e dalla Chiesa non potete rivendicare
niente”. Commentando il testamento, padre Amer Youkhanna, sacerdote caldeo di Mosul
si dice “molto colpito” dalle parole sulla morte di quello che era il suo vescovo:
“Nell’indicare la vita dopo la morte come il proseguimento più grande e infinito del
donarsi a Dio, egli vuole dirci che quello che ci attende non è solo una ricompensa
‘passiva’, ma una vita in cui il Signore ci rende attivi con Lui”. Nel testo, mons.
Rahho illustra soprattutto la sua concezione della morte. La morte – scrive - è una
realtà tremenda, la più tremenda di ogni altra realtà ed ognuno di noi dovrà attraversarla:
l’uomo, che dona la sua vita, se stesso e il suo essere e tutto ciò che possiede a
Dio e all’altro, esprime così la profonda fede che ha in Dio e la sua fiducia in Lui”.
Il Padre Eterno - aggiunge l’arcivescovo - si prende cura di tutti e non fa mai male
a nessuno. Perché il suo amore è infinito. Lui è Amore, ed è anche la pienezza della
paternità”. Così – sottolinea poi il presule - si comprende la morte: “morire è interrompere
questo donarsi a Dio e all’altro per aprirsi ad un donarsi nuovo e infinito, senza
macchia”. “La vita - conclude - è il consegnarci pienamente tra le mani di Dio; con
la morte questo consegnarci diventa infinito nella vita eterna”. (A.L.)