Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
In questa quarta Domenica di Pasqua la Liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù
spiega che “chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra
parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle
pecore”. Quindi aggiunge:
“Io sono la porta: se uno entra attraverso di
me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo… io sono venuto perché abbiano
la vita e l'abbiano in abbondanza”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo
il commento del teologo, don Massimo Serretti, docente di Cristologia alla
Pontificia Università Lateranense:
(musica)
C'è
un recinto, c'è una porta e dentro il recinto le pecore. Il
recinto serve a proteggere ogni singola pecora e il gregge nel suo insieme da intrusioni
di estranei, da “ladri e briganti”. Il recinto è una protezione
che può essere forzata, ma poi c'è un'altra protezione che si attiva nel riconoscimento
o nel disconoscimento di colui che è entrato. Non chiunque ha accesso al recinto che
è il cuore dell’uomo. Quando l’uomo ascolta la voce dell’unico e vero Pastore, la
riconosce perché essa risuona in modo unico e inconfondibile. Nessun’altra voce penetra
fin dove penetra la voce del buon Pastore. Questa voce si rivolge
a tutte le pecore nel loro insieme, ma non in modo impersonale. “Egli le chiama per
nome” (kat'onoma, nominatim). E noi iniziamo ad avere un nome solo quando il Pastore
ci chiama. Si capisce facilmente perché in un mondo e in una
società in cui non si conosce e non si riconosce l’unica voce dell’unico Pastore avanzi
in modo pericoloso il fenomeno della spersonalizzazione, di uomini senza nome o con
nomi fittizi, si capisce perché divengano sempre più problematici i processi di autoidentificazione.