Pakistan: mons. Saldanha condanna l'uccisione di un indù, vittima della legge sulla
blasfemia
Condannato a morte dai suoi stessi colleghi musulmani, ieri a Karachi il 22 enne Jagdeesh
Kumar è stato picchiato a morte nella fabbrica di pelli in cui lavorava. Con l’accusa
di blasfemia gli operai hanno applicato in modo arbitrario la legge vigente nel Paese
che prevede la pena di morte per atti profanatori e blasfemi contro l’Islam e il profeta
Maometto. L’uccisione - riferisce l'Agenzia Asianews - è stata duramente condannata
dall’arcivescovo di Lahore mons. Lawrence John Saldanha, presidente della Conferenza
episcopale del Pakistan e della Commissione nazionale di giustizia e pace. “Le rettifiche
apportate alla legge sulla blasfemia per evitarne l’abuso non hanno migliorato la
vita della gente comune che è sempre vittima di persone guidate da emozioni e istinti
e che si fanno interpreti della legge”, ha detto mons. Saldanha. Le accuse di blasfemia
non convincono la famiglia della vittima che crede che la religione non abbia nulla
a che fare con questa morte in quanto il ragazzo “era un uomo semplice e sapeva poco
di religione. In Pakistan la blasfemia è punibile con la morte ma nessuno è mai stato
ufficialmente condannato. Tuttavia quasi 30 persone sono rimaste vittime della giustizia
sommaria e illegittima, anche quando in custodia della polizia e i luoghi di culto
delle minoranze religiose e le loro case sono spesso sotto attacco. Gli indù sono
una minoranza in Pakistan e costituiscono l’1,6% di una popolazione di 160 milioni
di abitanti, di cui la stragrande maggioranza è musulmana. (R.P.)