Il carovita mette in ginocchio i Paesi poveri: l'allarme della Banca Mondiale
I prezzi dei generi alimentari continueranno a salire per i prossimi due anni, creando
seri problemi alle economie in via di sviluppo. L’allarme è stato lanciato da Robert
Zoellick, presidente della Banca Mondiale, che ha anche denunciato l'esistenza di
“seri rischi di un aumento della povertà” in alcuni Paesi. E la tensione sociale è
sfociata in vere e proprie violenze di piazza in Egitto, Thailandia, Filippine e Haiti.
Proprio nell’isola caraibica si contano 5 morti a causa delle manifestazioni contro
il carovita. Ma quali sono i motivi che hanno causato questo aumento di prezzo dei
beni di prima necessità? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Vichi de Marchi,
portavoce per l’Italia del Programma Alimentare Mondiale.
R. – Oggi,
sicuramente, non siamo in più in un’epoca di surplus agricolo. C’è stato l’aumento
dei prezzi, dovuto al fattore petrolifero, ai maggiori consumi di Paesi emergenti,
come India, Cina e c’è – da non sottovalutare - l’elemento climatico che incide negativamente.
Un solo dato su tutti: il 90 per cento dell’agricoltura africana dipende proprio dalle
piogge, dal ciclo naturale climatico.
D. – La Banca
Mondiale garantisce, da parte sua, che i 185 Paesi aderenti lavoreranno per fronteggiare
la crisi. Tra l’altro, anche voi del PAM avete lanciato un appello. In che modo, dunque,
intervenire concretamente?
R. – Per quanto riguarda
noi, una delle azioni che stiamo intraprendendo è quella di aumentare sempre più l’acquisto
di derrate alimentari per il consumo, vicino alle aree di crisi, cioè acquisti nei
mercati locali. Questo riduce i costi dei trasporti e favorisce le economie agricole
del luogo. L’altro elemento è che stiamo in qualche caso cambiando la composizione
dell’assistenza alimentare che diamo; ad esempio, sostituendo il mais giallo con quello
bianco, che ha un prezzo più ridotto e che si trova più vicino spesso alle aree di
crisi. E poi ci sono molte altre azioni che riguardano i nostri progetti di cibo in
cambio di lavoro, progetti di reimpianto di alberi laddove sono andati distrutti,
di costruzioni infrastrutturali, come piccole dighe, pozzi, insomma un aiuto all’economia
locale, alla produzione agricola.
D. – Questa pressione
non rischia di avere delle ricadute concrete anche sull’Occidente?
R.
– Sì, sicuramente. Già oggi noi vediamo che, comunque, anche l’Occidente ha un suo
problema di aumento dei prezzi, perché molte famiglie – e sono piene le cronache dei
nostri giornali – hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Solo che, chiaramente,
da noi l’effetto è meno importante, perchè noi destiniamo una quota non così rilevante
per mangiare, come avviene nei Paesi in via di sviluppo. Non solo, ma nei Paesi in
via di sviluppo, mentre la povertà prima riguardava soprattutto le popolazioni agricole
e contadine, oggi sta colpendo anche le città e i centri urbani. Questo è un altro
cambiamento importante.
D. – La tensione sociale
in Thailandia, ad Haiti, in Egitto, nelle Filippine, è sfociata in vere e proprie
rivolte popolari. Alcuni già parlano di una vera e propria “guerra della fame”...
R.
– Sì, sono molti i Paesi che hanno registrato proteste, dimostrazioni. Ci sono molti
governi che stanno cercando di arginare queste proteste, ampliando i sistemi di assistenza
alla popolazione, i blocchi delle importazioni o delle esportazioni. Insomma, ci sono
misure che si stanno mettendo in atto. Sicuramente, il cibo è la cosa più importante
e il cibo può essere anche alla base di molte, molte proteste.