Giornata internazionale dell’ONU contro le mine. Messaggio di Ban Ki-moon
Ricorre oggi la Giornata internazionale contro le mine indetta dall’ONU. “La presenza
sul terreno di questi micidiali ordigni – afferma il segretario generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki-moon, nel messaggio diffuso per l’occasione – colpisce ancora 68 Paesi
già teatro di conflitti, provocando morti e mutilazioni soprattutto nella popolazione
civile e, di fatto, bloccandone lo sviluppo e la ricostruzione”. Da anni, numerose
organizzazioni umanitarie si sono mosse per limitare la produzione e l’uso delle mine
antipersona e per promuovere la bonifica dei territori. Sul fenomeno, Giancarlo
La Vella ha intervistato Simona Beltrami della Campagna Internazionale
contro le mine:
R. –
L’emergenza umanitaria causata dalle mine antipersona è stata portata alla luce dalle
organizzazioni umanitarie all’inizio degli anni ’90. In quel periodo le mine erano
prodotte ampiamente e praticamente erano possedute da tutti gli eserciti del mondo.
In quel momento ci si è resi conto che, se si continuava a lasciar proliferare il
commercio e la produzione di questi ordigni, ci si sarebbe trovati davanti ad una
vera e propria catastrofe umanitaria. La presenza delle mine proietta l’ombra della
guerra per decenni dopo la fine dei conflitti. Si creano intere generazioni di persone
mutilate e le attività economiche, la ricostruzione, vengono bloccate dalla presenza
di questi ordigni nel terreno. La comunità internazionale, l’opinione pubblica, hanno
raccolto l’appello delle organizzazioni umanitarie e nel 1997 è stato firmato ad Ottawa,
in Canada, il Trattato per la messa al bando delle mine antipersona che ha fatto epoca,
dal momento che era la prima volta che si metteva al bando un’arma convenzionale comunemente
usata dagli eserciti praticamente di tutto il mondo.
D.
– In questa difficile lotta contro questi micidiali ordigni, c’è anche qualcosa di
positivo, i risultati finora raggiunti?
R. – Il bilancio
di dieci anni di esistenza del Trattato di Ottawa è sicuramente positivo. La produzione
e il commercio delle mine sono ridotte sostanzialmente a zero. L’utilizzo è ridotto
soltanto a due Paesi - Birmania e Russia - e a qualche gruppo armato non statale che
comunque non ha a disposizione arsenali paragonabili a quelli degli eserciti. Inoltre
sono stati sminati in questi anni enormi territori e numerosi Paesi. Entro l’anno
prossimo sono molti i Paesi, che hanno aderito al Trattato di Ottawa, che dovranno
completare le operazioni di sminamento. E qui c’è una piccola preoccupazione, perchè
circa tre quarti di questi Paesi probabilmente non saranno in grado di completare
le operazioni nel tempo stabilito. Questo dipende a volte dall’entità del problema,
a volte dalla lentezza con cui è stato affrontato e a volte anche dalla mancanza oggettiva
di fondi di cooperazione internazionale. Questo chiaramente non può non avere delle
ripercussioni negative sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo che ci si è posti
con il Trattato di Ottawa, ossia un mondo finalmente libero dalle mine.
E
tra i Paesi maggiormente colpiti dal dramma delle mine c’è l’Angola. Nel Paese africano,
teatro fino al 2002 di un sanguinoso conflitto civile durato 27 anni, oggi vivono
almeno 27 mila persone mutilate o ferite dall’esplosione di una mina. Un dato purtroppo
in drammatico aumento vista l’esistenza di vasti territori non ancora sminati. Per
mettere in evidenza questa emergenza si svolge ogni anno un singolare concorso di
bellezza. Ce ne parla Giulio Albanese.
La storia
è toccante e provocatoria al contempo: Augusta Urika è ancora una bellissima donna,
ha 31 anni ed ha perso una gamba a causa di una mina in Angola, un Paese dove – secondo
autorevoli fonti della società civile – i micidiali residuati bellici della ventennale
guerra civile superano di poco – numericamente parlando – il numero di abitanti dell’ex
colonia portoghese. Ebbene, Augusta si è aggiudicata la vittoria nel concorso di “miss
mina anti-uomo 2008”.
La gara si è svolta a Luanda
ed ha avuto come partecipanti 18 donne mutilate; in palio, una protesi per una vita
diversa. Un concorso che l’ideatore ha definito, con immenso rispetto per le partecipanti,
“di bellezza”, ma che non ha evitato polemiche. L’iniziativa è partita dal regista
norvegese Morten Travik, che ha lavorato per ottenere il sostegno di enti governativi
e organizzazioni umanitarie; partito per il continente africano cinque anni fa, Travik
era rimasto colpito dai volti sorridenti ma anche dal dramma quotidiano di un Paese
– l’Angola – uscito da una estenuante guerra civile con oltre 10 milioni di mine ancora
nascoste nel sottosuolo. Un concorso, quello da lui ideato, che va al di là di sfilate
dell’estetica ed entra nella sfera della solidarietà e dell’umanità. L’intento di
Travik: “Nessun pietismo né strumentalizzazioni. Solo un progetto artistico che ha
avuto lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica”.
Dulcis
in fundo, alla voce “ringraziamenti”, quella solitamente degli sponsor, la lista dei
produttori di mine, come Burma, Iran, Russia, Cuba, Corea del Nord e del Sud, Singapore,
Cina, Nepal, Stati Uniti, India, Pakistan e Vietnam. (Per la Radio Vaticana, Giulio
Albanese)