Entra nel vivo il congresso pro-vita organizzato dai vescovi del Guatemala
Mons. Pablo Vizcaíno Prado, vescovo di Suchitepéquez-Retalhuleu, Presidente della
Conferenza episcopale del Guatemala ha presieduto ieri la celebrazione eucaristica
con cui si è aperto il Primo Congresso sulla “Vita e la dignità della persona umana”,
voluto e organizzato dai vescovi e sul quale, i primi giorni di marzo, durante la
loro visita ad Limina in Vaticano parlarono sia con i responsabili dei dicasteri romani
sia con la stampa. Il Congresso, che si svolge presso i locali del Seminario maggiore
di Città di Guatemala, si concluderà domani con una Marcia Pro-vita che arriverà fino
all’Obelisco eretto in omaggio e ricordo di Giovanni Paolo II che visitò questo Paese
ben tre volte. Da oggi si succederanno numerosi interventi di esperiti laici e di
pastori per affrontare, da un’ottica interdisciplinare, nonché etica e teologica,
le svariate grandi questioni legate alla difesa e promozione della vita umana dal
suo concepimento fino al suo termine naturale. Tra i relatori c’è l’arcivescovo della
capitale cardinale Rodolfo Quezada Toruño, che qualche settimana fa ai microfoni della
nostra emittente ricordava che nel suo Paese “ci sono leggi ambigue, che praticamente
aiutano l’aborto. Speriamo di non avere altri problemi nel futuro. Ma noi vescovi
siamo chiari in questo senso, per difendere la vita a qualsiasi prezzo. Quindi, io
credo, - aggiungeva - che ci troviamo nella via giusta che dobbiamo percorrere”. Altri
relatori, medici, ricercatori, assistenti sociali e educatori, alcuni dei quali di
altre nazioni centroamericane, si alterneranno per riflettere su argomenti come la
fecondazione in vitro, le cellule staminali, anticoncezionali, e infine, sessualità
e dignità umana. In Guatemala, negli ultimi anni, e anche tra i politici, è cresciuta
la presa di coscienza riguardo alla sacralità della vita che lunghi anni di guerra
civile, nonché un’agguerrita criminalità organizzata, avevano contribuito a snaturare
del suo valore intrinseco. La “cultura” della morte che per molti decenni padroneggiò
in gran parte del Paese, oggi, con il faticoso e graduale ritorno alla pace e alla
normalità democratica, tende a perdere terreno e perciò, per i vescovi guatemaltechi,
occorre andare incontro a questa tendenza positiva per fare chiarezza e rinforzare
i principi ultimi. La strada è lunga e irta di ostacoli anche perché, in alcuni settori
della società guatemalteca, annida come “normale” la violenza, la vendetta e il disprezzo
della vita. Ieri infatti, mons. Alvaro Ramazzini, vescovo di San Marco denunciava
l’ennesima minaccia di morte contro la sua persona e contro altri operatori pastorali.
Proprio dieci anni fa, fu ucciso in Guatemala mons. Juan Gerardi, vescovo ausiliare
della capitale, due giorno dopo aver presentato un’accurata indagine sulle violazioni
dei diritti umani nel periodo della guerra civile sia da parte dell’esercito sia da
parte della guerriglia. (A cura di Luis Badilla)