2008-04-04 16:14:58

Dopo il verice NATO, oggi l'intervento di Putin che annuncia misure in risposta all'allargamento dell'Alleanza Atlantica ad Est


Chiuso ieri il vertice dei Paesi della NATO, oggi il Consiglio dell’Alleanza atlantica ha incontrato il presidente russo, Vladimir Putin. Il suo intervento non è stato ripreso dalle telecamere ma la stessa delegazione russa ha fatto conoscere i punti salienti del discorso. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3


La Russia sarà costretta a prendere le misure per proteggere la propria sicurezza in risposta all'allargamento della NATO oltre i confini dell'ex URSS. E’ il primo annuncio di Putin. Il secondo riguarda il Trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE): la Russia è pronta a rilanciarne l'operatività, ma solo con gli altri partecipanti. Il presidente russo, poi, lancia accuse: alcuni Paesi hanno demonizzato la Russia, dimenticando il suo contributo alla fine della Guerra fredda. In particolare, afferma che ''alcuni alleati sono arrivati ad una totale demonizzazione della Russia e non possono venirne fuori". Inoltre, Putin spiega che il continuo allargamento della NATO è un impedimento serio alla cooperazione tra l'Alleanza atlantica e Mosca. E aggiunge che la presenza di un blocco militare ai confini occidentali della Russia sarebbe considerata una ''minaccia diretta''. In ogni caso, Putin sottolinea che una ripetizione della Guerra fredda ''non è possibile''. Da parte sua, il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha parlato di una discussione ''aperta e franca'', caratterizzata da ''spirito positivo''. Di certo, sull’incontro di oggi hanno pesato le decisioni di ieri: via libera all’aumento dei militari da schierare in Afghanistan e sullo scudo spaziale, no invece all’apertura immediata ai negoziati per l’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO. Ma si tratta solo di un rinvio a dicembre. Inoltre, è stata presa la decisione di appoggiare l’iniziativa statunitense di costruire uno scudo spaziale antimissile. Da mesi, si negozia con Polonia e Repubblica Ceca, ma l’obiettivo diventa coinvolgere tutti i Paesi dell’Alleanza Atlantica. Putin ha commentato questo punto dicendo che ''la NATO non deve assicurare la sua sicurezza alle spese della sicurezza di altri Paesi.

Giada Aquilino ha chiesto ad Adriana Cerretelli, inviata del Sole 24 Ore al summit della NATO in Romania se le due Repubbliche ex sovietiche hanno costituito terreno di trattativa al vertice di Bucarest:RealAudioMP3


R. - Sicuramente. È stata una trattativa, anche dura, tra l’Europa e gli Stati Uniti, però alla fine, secondo me, si è trovato un compromesso per così dire "intelligente", che ha consentito a tutti di salvare la faccia: perché l’Ucraina e la Georgia non hanno ottenuto - come avrebbe voluto Bush - lo statuto di pre-adesione, però hanno ottenuto quello che in fondo pochi si aspettavano, cioè addirittura il via libera in linea di principio al loro ingresso. E questo è un segnale politico sicuramente importante per gli americani e per i due Paesi interessati. L’Europa, da parte sua, è riuscita a non avere il via libera immediato alla pre-adesione, in quanto Bruxelles ritiene che entrambi i Paesi non siano pronti. È, dunque, stato un compromesso che in qualche modo Putin può digerire.

 
D. - La Russia ha accettato il passaggio di aiuti NATO per l’Afghanistan. Si superano così le tensioni sul Kosovo e sullo scudo spaziale o si mettono da parte?

R. - Penso che l’accordo sul passaggio di materiale destinato all’Afghanistan sia strategicamente molto importante per l’ISAF, la Forza NATO che combatte in Afghanistan, perché in questo modo il passaggio dei mezzi è meno costoso, è più rapido e meno laborioso di quanto non fosse il trasporto aereo. Per quanto riguarda invece l’accordo missilistico, penso che - alla fine - ci sarà un’intesa, perché tutto sommato la Russia alcuni mesi fa aveva proposto che alcune delle proprie basi potessero essere in qualche modo coordinate con quelle dello scudo. Adesso, bisognerà vedere in che termini ci potrà essere un accordo: di questo si discuterà anche a Soci. Il Kosovo, infine, resta una spina nel fianco.

Medio Oriente
Un piccolo gruppo islamico palestinese, l'Esercito della nazione, ha rivendicato gli spari odierni in direzione del ministro israeliano della Sicurezza interna, Avi Dichter. Lo riferiscono fonti giornalistiche a Gaza. Gli spari hanno ferito un collaboratore del ministro, che è stato ricoverato in ospedale. Intanto, misure rafforzate di sicurezza sono state adottate a bordo degli aerei israeliani nel timore di attentati. Nelle ultime settimane minacce di attacchi anti-israeliani sono state espresse sia dagli Hezbollah libanesi sia dai dirigenti di al-Qaida. Intanto, una commissione di inchiesta del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese, ha accertato che un militante di Hamas, Majd al-Barghuti, è stato torturato a morte il febbraio scorso mentre era in custodia dei servizi di intelligence dell'Anp. Nel rapporto di 12 pagine, la Commissione chiede dunque che il presidente Abu Mazen (Mahmud Abbas) adotti le necessarie misure legali per punire ''quanti hanno ordinato la tortura di al-Barghuti, quanti l'hanno messa in atto e quanti hanno poi cercato di nascondere i fatti''.

Afghanistan
Almeno tre poliziotti afghani sono morti e tre passanti sono rimasti feriti in un attentato compiuto da un kamikaze nella città di Lashkar Gah, capoluogo dell'insanguinata provincia di Helmand, nel sud dell'Afghanistan. L'attentato non è stato ancora rivendicato ma secondo la polizia lo stile è quello dei ribelli taleban.

Iraq
Ancora attentati in Iraq: quattro poliziotti iracheni, tra i quali un tenente, uccisi dall'esplosione di un ordigno a nord di Hilla, a nord di Baghdad: almeno 20 persone morte in un attentato suicida compiuto da un kamikaze in provincia di Diyala, a nordest di Baghdad, durante i funerali di un poliziotto. Intanto, in occasione del quinto anniversario della caduta del regime di Saddam Hussein - 9 aprile 2003 - il leader radicale sciita, Moqtada Sadr, ha chiamato ''tutti gli iracheni'' a manifestare contro ''l'occupante'' mercoledì a Najaf, la Città santa sciita nel sud del Paese. L'iniziativa alimenterà di certo la tensione con il premier, Nuri al Maliki, che ha ammonito che ci saranno ''altre operazioni'' contro le milizie sciite. Il braccio di ferro tra al Maliki e le milizie sciite ha portato la settimana scorsa ad una feroce battaglia a Bassora tra miliziani - soprattutto dell'Esercito del Mahdi comandato da Sadr - e esercito iracheno sostenuto dalle forze USA. Simili scontri sono poi rapidamente divampati anche a Baghdad nel grande quartiere sciita Sadr City, a Nassiriya, Kut, Hilla, Kerbala, che hanno provocato in tutto la morte di almeno 460 persone e il ferimento di mille altre.

Kosovo
L’ex premier kosovaro Ramush Haradinaj è stato completamente assolto dalle accuse di pulizia etnica per le quali era sotto processo al tribunale penale internazionale dell'Aja. La reazione è stata molto meno posata in Kosovo, dove Haradinaj è considerato un eroe nazionale. Assoluzione piena anche per un secondo imputato mentre lo zio di Haradinaj è stato invece condannato a 6 anni di reclusione per maltrattamento di prigionieri. "Siamo molto contenti ma anche sconcertati perché non tutti sono stati rilasciati - dice l'ex ministro della giustizia kosovaro Jonuz Salihaj - In ogni caso, ci sarà un processo d'appello e sono convinto che tutti e tre saranno scagionati". Mentre per le strade del Kosovo si festeggia da Belgrado il primo ministro della Serbia, Vojislav Kostunica, ha accusato la Corte internazionale dell'ONU di farsi "beffe della giustizia e delle vittime". Il Tribunale non ha negato che civili serbi siano stati torturati e uccisi ma non ha potuto stabilire che questo rispondesse a un disegno delle forze kosovare di cui Haradinaj era comandante. Il giudice che ha letto la sentenza si è tuttavia lamentato delle intimidazioni subite da alcuni testimoni.

Alta la tensione dopo l'arretso dei due giornalisti occidentali in Zimbawbe
Sale la tensione in Zimbabwe, dopo l’arresto di due giornalisti occidentali, accusati di avere lavorato nel Paese senza autorizzazione. Ma gli arresti e le intimidazioni da parte delle forze di polizia fedeli al presidente Mugabe si moltiplicano anche contro i rappresentanti dei partiti di opposizione, usciti vincitori dalle elezioni di sei giorni fa. Forti segnali di preoccupazione per l’evolversi della situazione nel Paese africano sono state manifestate sia dall’UE che dagli Stati Uniti. Intanto, il presidente Mugabe ha convocato una riunione dell’ufficio politico del suo partito per decidere se accettare di andare al ballottaggio per le presidenziali contro il rivale, Morgan Tzvangirai. Ma quali sono le difficoltà che ostacolano un normale avvicendamento al potere in Zimbabwe? Stefano Leszczynski lo ha chiesto ad Enrico Casale, africanista della rivista dei gesuiti Popoli:RealAudioMP3

 
R. - Mugabe è al potere da 28 anni. Di conseguenza, anche di fronte all’evidenza di un malcontento da parte della popolazione dello Zimbabwe, è difficile lasciare il potere, non tanto a livello personale, ma proprio come sistema politico e come gruppo di potere.

 
D. - Come mai vengono presi di mira i rappresentanti della stampa internazionale?

 
R. - Intanto, esiste una legge che impedisce ai giornalisti stranieri, se non a condizioni rigidissime, di esercitare la loro professione sul territorio nazionale. Dal punto di vista esterno, non so come la comunità internazionale potrà rispondere.

D. - Si parla di una possibile negoziazione da parte di Mugabe di un’immunità per poter lasciare il Paese. E’ plausibile una cosa del genere?

 
R. - Trattative tra Mugabe e l’opposizione, secondo me, in questo momento sono plausibili. Di fronte alla sconfitta, è possibile che Mugabe tratti una sorta di immunità per sé e per i suoi fedelissimi, che altrimenti andrebbero incontro, probabilmente, alla reazione dell’opposizione, anche perchè il partito di Mugabe ha gestito con pugno di ferro in questi ultimi anni il potere. Quindi, è prevedibile una reazione violenta nei confronti dei gerarchi del partito. E quindi è probabile che lui stia cercando una via d’uscita per sé e per i suoi fedeli.

Italia - Condanna a 21 anni per l’omicidio di Massimo D’Antona
Condanna per Federica Saraceni anche per l'omicidio del professor Massimo D'Antona, ucciso dalle BR nel maggio del 1999. E' quanto ha deciso la seconda Corte di Assise di Appello di Roma, che ha inflitto complessivamente alla Saraceni, assolta in primo grado per l'accusa di omicidio, 21 anni e 6 mesi di reclusione. La Corte ha disposto nei suoi confronti anche la decadenza della potestà genitoriale.

40 anni fa la scomparsa di Martin Luther King
Già cominciate nei giorni scorsi negli Stati Uniti le cerimonie per il 40.mo anniversario della scomparsa di Martin Luther King, ucciso a Memphis il 4 aprile 1968. Ieri, le commemorazioni a Washington, dove nel ‘63 pronunciò il celebre discorso, in cui disse ''I have a dream...''. Oggi, altri appuntamenti nel resto del Paese. Il servizio da New York di Elena Molinari:RealAudioMP3


“King ci ha insegnato che i sogni, quando diventano azioni, possono cambiare il mondo”: così il senatore democratico del Nevada, Harry Ray, ha ricordato ieri al Congresso americano la figura storica di Martin Luther King, il promotore - negli anni '60 del Novecento - di una coraggiosa campagna contro la segregazione razziale negli USA. A 40 anni dalla sua uccisione, sono però in molti convinti che il sogno di equità razziale di King non sia ancora stato realizzato in America. E proprio quest’anno, il dibattito sulla questione razziale è tornato ad attraversare il Paese, rilanciato dal discorso tenuto in campagna elettorale dal senatore nero e candidato, Barak Obama. E tra le centinaia di manifestazioni organizzate oggi per ricordare l’anniversario della morte di King, è prevista una marcia proprio a Memphis, dove il pastore fu ucciso, e alla quale ha annunciata la partecipazione anche la rivale di Obama, Hillary Clinton. Negli Stati Uniti, la figura di King è ricordata ogni anno con una giornata di festa che porta il suo nome, che si celebra il 18 gennaio.

 
Le due Coree
La Corea del Nord, impegnata in un duro scontro con il governo di Seul, torna a chiedere aiuti alimentari d'urgenza alla Cina per soccorrere la sua popolazione ridotta alla fame. E' quanto scrive il quotidiano sudcoreano Hankyorek che, citando fonti diplomatiche, aggiunge che Pyongyang ha deciso di non chiedere riso e fertilizzanti alla Corea del Sud fino a quando non ci sarà un miglioramento dei rapporti. Il Ministero degli esteri sudcoreano spiega di non essere a conoscenza della richiesta della controparte, ma la svolta del regime di Kim Jong-Il giungerebbe così all'indomani dello strappo con i vicini del Sud, a seguito della minaccia del blocco del dialogo e della conseguente destabilizzazione della penisola. ''La Corea del Nord ha richiesto un aiuto massiccio di riso alla Cina il che significa che il Nord non ha alcuna intenzione di fare un'analoga richiesta per il momento alla Corea del Sud'', scrive il quotidiano: aiuto per il quale Pechino non avrebbe ancora sciolto la riserva. Ieri, intanto, secondo un’organizzazione umanitaria sudcoreana, Pyongyang avrebbe deciso di sospendere per sei mesi le razioni di cibo ai residenti della capitale, confermando di fatto il peggioramento della situazione alimentare del Paese. Intanto, gli Stati Uniti fanno sapere che le recenti dichiarazioni della Corea del Nord, che ha minacciato il blocco del dialogo con la Corea del Sud, sono ''molto inopportune'' e ''di sicuro non aiutano a risolvere la crisi.

Indonesia
Il Ttribunale della provincia indonesiana delle Molucche ha emesso dure condanne, tra cui un ergastolo, nei confronti di una ventina di militanti indipendentisti rei di aver danzato con in mano una bandiera separatista durante una visita del presidente, Susilo Bambang Yudhoyono, avvenuta lo scorso anno nella regione. Lo hanno rivelato fonti interne al Tribunale, poi riprese dall'agenzia di stampa indonesiana Antara. Johan Teterisa, considerato leader del gruppo, è stato condannato all'ergastolo, mentre ad Abraham Saiya e ad un'altra ventina di manifestanti sono state inflitte pene detentive tra i 10 e i 15 anni: per tutti l'accusa è di cospirazione contro lo stato. I manifestanti avevano sventolato nel giugno 2007, durante una vista presidenziale, la bandiera inneggiante alla scomparsa Repubblica delle Molucche del Sud (RMS), proclamata nel 1950, ma subito stroncata dall'intervento dell'esercito indonesiano. Nello specifico, Teterisa ha, secondo i magistrati, ''fatto piombare l'intera popolazione indonesiana nell'imbarazzo'' sfidando il presidente, Susilo Bambang Yughoyono, senza manifestare alcun rimorso. Nell'occasione, furono rimossi in tronco anche i dirigenti militari e di polizia della provincia. Contro questo processo, si è recentemente espresso anche lo Human Right Watch denunciando che ''anche un atto non violento come tenere in mano una bandiera in Indonesia puo' condurre al carcere''. La regione delle Molucche, 2.300 km. a est di Giakarta, è stata teatro tra il 1999 e il 2002 di duri scontri tra musulmani e cristiani che hanno fatto oltre 500 morti. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

 

 
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 95

 
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