Dopo il verice NATO, oggi l'intervento di Putin che annuncia misure in risposta all'allargamento
dell'Alleanza Atlantica ad Est
Chiuso ieri il vertice dei Paesi della NATO, oggi il Consiglio dell’Alleanza atlantica
ha incontrato il presidente russo, Vladimir Putin. Il suo intervento non è stato ripreso
dalle telecamere ma la stessa delegazione russa ha fatto conoscere i punti salienti
del discorso. Il servizio di Fausta Speranza:
La Russia
sarà costretta a prendere le misure per proteggere la propria sicurezza in risposta
all'allargamento della NATO oltre i confini dell'ex URSS. E’ il primo annuncio di
Putin. Il secondo riguarda il Trattato sulle armi convenzionali in Europa (CFE): la
Russia è pronta a rilanciarne l'operatività, ma solo con gli altri partecipanti. Il
presidente russo,poi, lancia accuse: alcuni Paesi hanno demonizzato la Russia,
dimenticando il suo contributo alla fine della Guerra fredda. In particolare, afferma
che ''alcuni alleati sono arrivati ad una totale demonizzazione della Russia e non
possono venirne fuori". Inoltre, Putinspiega che il continuo allargamento
della NATO è un impedimento serio alla cooperazione tra l'Alleanza atlantica e Mosca.
E aggiunge che la presenza di un blocco militare ai confini occidentali della Russia
sarebbe considerata una ''minaccia diretta''. In ogni caso, Putin sottolinea che una
ripetizione della Guerra fredda ''non è possibile''. Da parte sua, il segretario
generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, ha parlato di una discussione ''aperta
e franca'', caratterizzata da ''spirito positivo''. Di certo, sull’incontro di oggi
hanno pesato le decisioni di ieri: via libera all’aumento dei militari da schierare
in Afghanistan e sullo scudo spaziale, no invece all’apertura immediata ai negoziati
per l’ingresso di Georgia e Ucraina nella NATO. Ma si tratta solo di un rinvio a dicembre.
Inoltre, è stata presa la decisione di appoggiare l’iniziativa statunitense di costruire
uno scudo spaziale antimissile. Da mesi, si negozia con Polonia e Repubblica Ceca,
ma l’obiettivo diventa coinvolgere tutti i Paesi dell’Alleanza Atlantica. Putin ha
commentato questo punto dicendo che ''la NATO non deve assicurare la sua sicurezza
alle spese della sicurezza di altri Paesi.
Giada Aquilino ha chiesto
ad Adriana Cerretelli, inviata del Sole 24 Ore al summit della NATO in Romania
se le due Repubbliche ex sovietiche hanno costituito terreno di trattativa al vertice
di Bucarest:
R. -
Sicuramente. È stata una trattativa, anche dura, tra l’Europa e gli Stati Uniti, però
alla fine, secondo me, si è trovato un compromesso per così dire "intelligente", che
ha consentito a tutti di salvare la faccia: perché l’Ucraina e la Georgia non hanno
ottenuto - come avrebbe voluto Bush - lo statuto di pre-adesione, però hanno ottenuto
quello che in fondo pochi si aspettavano, cioè addirittura il via libera in linea
di principio al loro ingresso. E questo è un segnale politico sicuramente importante
per gli americani e per i due Paesi interessati. L’Europa, da parte sua, è riuscita
a non avere il via libera immediato alla pre-adesione, in quanto Bruxelles ritiene
che entrambi i Paesi non siano pronti. È, dunque, stato un compromesso che in qualche
modo Putin può digerire.
D. - La Russia ha accettato
il passaggio di aiuti NATO per l’Afghanistan. Si superano così le tensioni sul Kosovo
e sullo scudo spaziale o si mettono da parte?
R. - Penso che l’accordo
sul passaggio di materiale destinato all’Afghanistan sia strategicamente molto importante
per l’ISAF, la Forza NATO che combatte in Afghanistan, perché in questo modo il passaggio
dei mezzi è meno costoso, è più rapido e meno laborioso di quanto non fosse il trasporto
aereo. Per quanto riguarda invece l’accordo missilistico, penso che - alla fine -
ci sarà un’intesa, perché tutto sommato la Russia alcuni mesi fa aveva proposto che
alcune delle proprie basi potessero essere in qualche modo coordinate con quelle dello
scudo. Adesso, bisognerà vedere in che termini ci potrà essere un accordo: di questo
si discuterà anche a Soci. Il Kosovo, infine, resta una spina nel fianco.
Medio
Oriente Un piccolo gruppo islamico palestinese, l'Esercito della nazione, ha
rivendicato gli spari odierni in direzione del ministro israeliano della Sicurezza
interna, Avi Dichter. Lo riferiscono fonti giornalistiche a Gaza. Gli spari hanno
ferito un collaboratore del ministro, che è stato ricoverato in ospedale. Intanto,
misure rafforzate di sicurezza sono state adottate a bordo degli aerei israeliani
nel timore di attentati. Nelle ultime settimane minacce di attacchi anti-israeliani
sono state espresse sia dagli Hezbollah libanesi sia dai dirigenti di al-Qaida. Intanto,
una commissione di inchiesta del Consiglio legislativo, il parlamento palestinese,
ha accertato che un militante di Hamas, Majd al-Barghuti, è stato torturato a morte
il febbraio scorso mentre era in custodia dei servizi di intelligence dell'Anp.
Nel rapporto di 12 pagine, la Commissione chiede dunque che il presidente Abu Mazen
(Mahmud Abbas) adotti le necessarie misure legali per punire ''quanti hanno ordinato
la tortura di al-Barghuti, quanti l'hanno messa in atto e quanti hanno poi cercato
di nascondere i fatti''.
Afghanistan Almeno tre poliziotti afghani
sono morti e tre passanti sono rimasti feriti in un attentato compiuto da un kamikaze
nella città di Lashkar Gah, capoluogo dell'insanguinata provincia di Helmand, nel
sud dell'Afghanistan. L'attentato non è stato ancora rivendicato ma secondo la polizia
lo stile è quello dei ribelli taleban.
Iraq Ancora attentati in Iraq:
quattro poliziotti iracheni, tra i quali un tenente, uccisi dall'esplosione di un
ordigno a nord di Hilla, a nord di Baghdad: almeno 20 persone morte in un attentato
suicida compiuto da un kamikaze in provincia di Diyala, a nordest di Baghdad, durante
i funerali di un poliziotto. Intanto, in occasione del quinto anniversario della caduta
del regime di Saddam Hussein - 9 aprile 2003 - il leader radicale sciita, Moqtada
Sadr, ha chiamato ''tutti gli iracheni'' a manifestare contro ''l'occupante'' mercoledì
a Najaf, la Città santa sciita nel sud del Paese. L'iniziativa alimenterà di certo
la tensione con il premier, Nuri al Maliki, che ha ammonito che ci saranno ''altre
operazioni'' contro le milizie sciite. Il braccio di ferro tra al Maliki e le milizie
sciite ha portato la settimana scorsa ad una feroce battaglia a Bassora tra miliziani
- soprattutto dell'Esercito del Mahdi comandato da Sadr - e esercito iracheno sostenuto
dalle forze USA. Simili scontri sono poi rapidamente divampati anche a Baghdad nel
grande quartiere sciita Sadr City, a Nassiriya, Kut, Hilla, Kerbala, che hanno provocato
in tutto la morte di almeno 460 persone e il ferimento di mille altre.
Kosovo L’ex
premier kosovaro Ramush Haradinaj è stato completamente assolto dalle accuse di pulizia
etnica per le quali era sotto processo al tribunale penale internazionale dell'Aja.
La reazione è stata molto meno posata in Kosovo, dove Haradinaj è considerato un eroe
nazionale. Assoluzione piena anche per un secondo imputato mentre lo zio di Haradinaj
è stato invece condannato a 6 anni di reclusione per maltrattamento di prigionieri.
"Siamo molto contenti ma anche sconcertati perché non tutti sono stati rilasciati
- dice l'ex ministro della giustizia kosovaro Jonuz Salihaj - In ogni caso, ci sarà
un processo d'appello e sono convinto che tutti e tre saranno scagionati". Mentre
per le strade del Kosovo si festeggia da Belgrado il primo ministro della Serbia,
Vojislav Kostunica, ha accusato la Corte internazionale dell'ONU di farsi "beffe della
giustizia e delle vittime". Il Tribunale non ha negato che civili serbi siano stati
torturati e uccisi ma non ha potuto stabilire che questo rispondesse a un disegno
delle forze kosovare di cui Haradinaj era comandante. Il giudice che ha letto la sentenza
si è tuttavia lamentato delle intimidazioni subite da alcuni testimoni.
Alta
la tensione dopo l'arretso dei due giornalisti occidentali in Zimbawbe Sale
la tensione in Zimbabwe, dopo l’arresto di due giornalisti occidentali, accusati di
avere lavorato nel Paese senza autorizzazione. Ma gli arresti e le intimidazioni da
parte delle forze di polizia fedeli al presidente Mugabe si moltiplicano anche contro
i rappresentanti dei partiti di opposizione, usciti vincitori dalle elezioni di sei
giorni fa. Forti segnali di preoccupazione per l’evolversi della situazione nel Paese
africano sono state manifestate sia dall’UE che dagli Stati Uniti. Intanto, il presidente
Mugabe ha convocato una riunione dell’ufficio politico del suo partito per decidere
se accettare di andare al ballottaggio per le presidenziali contro il rivale, Morgan
Tzvangirai. Ma quali sono le difficoltà che ostacolano un normale avvicendamento al
potere in Zimbabwe? Stefano Leszczynski lo ha chiesto ad Enrico Casale,
africanista della rivista dei gesuiti Popoli: R.
- Mugabe è al potere da 28 anni. Di conseguenza, anche di fronte all’evidenza di un
malcontento da parte della popolazione dello Zimbabwe, è difficile lasciare il potere,
non tanto a livello personale, ma proprio come sistema politico e come gruppo di potere.
D.
- Come mai vengono presi di mira i rappresentanti della stampa internazionale?
R.
- Intanto, esiste una legge che impedisce ai giornalisti stranieri, se non a condizioni
rigidissime, di esercitare la loro professione sul territorio nazionale. Dal punto
di vista esterno, non so come la comunità internazionale potrà rispondere.
D.
- Si parla di una possibile negoziazione da parte di Mugabe di un’immunità per poter
lasciare il Paese. E’ plausibile una cosa del genere?
R.
- Trattative tra Mugabe e l’opposizione, secondo me, in questo momento sono plausibili.
Di fronte alla sconfitta, è possibile che Mugabe tratti una sorta di immunità per
sé e per i suoi fedelissimi, che altrimenti andrebbero incontro, probabilmente, alla
reazione dell’opposizione, anche perchè il partito di Mugabe ha gestito con pugno
di ferro in questi ultimi anni il potere. Quindi, è prevedibile una reazione violenta
nei confronti dei gerarchi del partito. E quindi è probabile che lui stia cercando
una via d’uscita per sé e per i suoi fedeli.
Italia - Condanna a 21
anni per l’omicidio di Massimo D’Antona Condanna per Federica Saraceni anche
per l'omicidio del professor Massimo D'Antona, ucciso dalle BR nel maggio del 1999.
E' quanto ha deciso la seconda Corte di Assise di Appello di Roma, che ha inflitto
complessivamente alla Saraceni, assolta in primo grado per l'accusa di omicidio, 21
anni e 6 mesi di reclusione. La Corte ha disposto nei suoi confronti anche la decadenza
della potestà genitoriale.
40 anni fa la scomparsa di Martin Luther King Già
cominciate nei giorni scorsi negli Stati Uniti le cerimonie per il 40.mo anniversario
della scomparsa di Martin Luther King, ucciso a Memphis il 4 aprile 1968. Ieri, le
commemorazioni a Washington, dove nel ‘63 pronunciò il celebre discorso, in cui disse
''I have a dream...''. Oggi, altri appuntamenti nel resto del Paese. Il servizio da
New York di Elena Molinari:
“King
ci ha insegnato che i sogni, quando diventano azioni, possono cambiare il mondo”:
così il senatore democratico del Nevada, Harry Ray, ha ricordato ieri al Congresso
americano la figura storica di Martin Luther King, il promotore - negli anni '60 del
Novecento - di una coraggiosa campagna contro la segregazione razziale negli USA.
A 40 anni dalla sua uccisione, sono però in molti convinti che il sogno di equità
razziale di King non sia ancora stato realizzato in America. E proprio quest’anno,
il dibattito sulla questione razziale è tornato ad attraversare il Paese, rilanciato
dal discorso tenuto in campagna elettorale dal senatore nero e candidato, Barak Obama.
E tra le centinaia di manifestazioni organizzate oggi per ricordare l’anniversario
della morte di King, è prevista una marcia proprio a Memphis, dove il pastore fu ucciso,
e alla quale ha annunciata la partecipazione anche la rivale di Obama, Hillary Clinton.
Negli Stati Uniti, la figura di King è ricordata ogni anno con una giornata di festa
che porta il suo nome, che si celebra il 18 gennaio.
Le
due Coree La Corea del Nord, impegnata in un duro scontro con il governo di
Seul, torna a chiedere aiuti alimentari d'urgenza alla Cina per soccorrere la sua
popolazione ridotta alla fame. E' quanto scrive il quotidiano sudcoreano Hankyorek
che, citando fonti diplomatiche, aggiunge che Pyongyang ha deciso di non chiedere
riso e fertilizzanti alla Corea del Sud fino a quando non ci sarà un miglioramento
dei rapporti. Il Ministero degli esteri sudcoreano spiega di non essere a conoscenza
della richiesta della controparte, ma la svolta del regime di Kim Jong-Il giungerebbe
così all'indomani dello strappo con i vicini del Sud, a seguito della minaccia del
blocco del dialogo e della conseguente destabilizzazione della penisola. ''La Corea
del Nord ha richiesto un aiuto massiccio di riso alla Cina il che significa che il
Nord non ha alcuna intenzione di fare un'analoga richiesta per il momento alla Corea
del Sud'', scrive il quotidiano: aiuto per il quale Pechino non avrebbe ancora sciolto
la riserva. Ieri, intanto, secondo un’organizzazione umanitaria sudcoreana, Pyongyang
avrebbe deciso di sospendere per sei mesi le razioni di cibo ai residenti della capitale,
confermando di fatto il peggioramento della situazione alimentare del Paese. Intanto,
gli Stati Uniti fanno sapere che le recenti dichiarazioni della Corea del Nord, che
ha minacciato il blocco del dialogo con la Corea del Sud, sono ''molto inopportune''
e ''di sicuro non aiutano a risolvere la crisi.
Indonesia Il Ttribunale
della provincia indonesiana delle Molucche ha emesso dure condanne, tra cui un ergastolo,
nei confronti di una ventina di militanti indipendentisti rei di aver danzato con
in mano una bandiera separatista durante una visita del presidente, Susilo Bambang
Yudhoyono, avvenuta lo scorso anno nella regione. Lo hanno rivelato fonti interne
al Tribunale, poi riprese dall'agenzia di stampa indonesiana Antara. Johan Teterisa,
considerato leader del gruppo, è stato condannato all'ergastolo, mentre ad Abraham
Saiya e ad un'altra ventina di manifestanti sono state inflitte pene detentive tra
i 10 e i 15 anni: per tutti l'accusa è di cospirazione contro lo stato. I manifestanti
avevano sventolato nel giugno 2007, durante una vista presidenziale, la bandiera inneggiante
alla scomparsa Repubblica delle Molucche del Sud (RMS), proclamata nel 1950, ma subito
stroncata dall'intervento dell'esercito indonesiano. Nello specifico, Teterisa ha,
secondo i magistrati, ''fatto piombare l'intera popolazione indonesiana nell'imbarazzo''
sfidando il presidente, Susilo Bambang Yughoyono, senza manifestare alcun rimorso.
Nell'occasione, furono rimossi in tronco anche i dirigenti militari e di polizia della
provincia. Contro questo processo, si è recentemente espresso anche lo Human Right
Watch denunciando che ''anche un atto non violento come tenere in mano una bandiera
in Indonesia puo' condurre al carcere''. La regione delle Molucche, 2.300 km. a est
di Giakarta, è stata teatro tra il 1999 e il 2002 di duri scontri tra musulmani e
cristiani che hanno fatto oltre 500 morti. (Panoramica internazionale a cura di
Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 95 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.