Insegnare i valori del rispetto dell'altro e della sana competizione per evitare che
lo sport si trasformi in tragedia. La testimonianza del vescovo di Parma, Enrico Solmi
La violenza nel mondo del calcio e dello sport è un fenomeno che da lungo tempo tiene
banco in Italia e la morte, domenica scorsa, del tifoso del Parma, Matteo Bagnaresi,
ha rilanciato in tutta la sua drammaticità l'urgenza di adottare misure che impediscano
alle tifoserie avversarie di venire a contatto, dentro e fuori gli stadi, ma anche
di riaffermare la conoscenza di una vera cultura sportiva, che appare purtroppo deficitaria.
Il dolore per la scomparsa del tifoso parmense ha colpito in modo inatteso anche il
nuovo vescovo di Parma, Enrico Solmi, che proprio domenica scorsa si insediava
ufficialmente in diocesi, accompagnato dalla notizia della tragica morte di Matteo
Bagnaresi. Fabio Colagrande ha raccolto le impressioni de presule:
R. -
Certamente, domenica abbiamo vissuto un momento di acuto dolore, perché proprio mentre
mi accingevo ad entrare in cattedrale mi è giunta la notizia di questo tifoso del
Parma che ha trovato la morte mentre si recava ad un evento che dovrebbe essere sempre
bello, gioioso, rispettoso. Dunque, la cerimonia è stata segnata da questo dolore
acuto e io stesso ho ricordato questo giovane durante la celebrazione.
D.
- Mons. Solmi, lei ha un’esperienza pastorale passata vicino al mondo del calcio:
come può la pastorale aiutare a vivere in maniera corretta sia l’attività sportiva,
sia l’attività dei tifosi che seguono le squadre?
R.
- Io sono stato cappellano della squadra del Modena per diversi anni, sia in serie
B che in serie A. Credo che abbiamo un grosso compito nell’aiutare le persone a cogliere
la bellezza dello sport - un momento di sano agonismo, un momento di svago, un momento
di socializzazione - legata al grande rispetto della persona. Non si può andare allo
stadio per sfogare tutto un mondo di situazioni angoscianti, non si può andare allo
stadio se non per fare un bel pomeriggio di sport. E ancora meglio, sarebbe poterlo
praticare.
D. - Nella sua esperienza di cappellano
di una squadra di calcio ha mai avuto contatti, anche se indiretti, con le frange
più violente della tifoseria?
R. - Io ho avuto contatti.
Ci siamo incontrati e anche confrontati. Devo dire che nel discorso personale, nel
dialogo personale, sono emersi anche dei valori, dei riferimenti comuni, capacità
e possibilità di riflettere. Purtroppo, quando la cosa assume un carattere collettivo
e viene - per così dire - “montata” da tutta una tensione di contorno, si rischia
veramente di degenerare. Io stesso ho assistito a situazioni molto incresciose tra
giocatori, situazioni di violenza che hanno portato persone anche a rischio della
vita, e anche questo è estremamente doloroso.
D.
- Lei pensa che questo problema della violenza nel mondo del calcio in qualche modo
rientri in quello di una "emergenza educativa" della quale il Papa e i vescovi italiani
più volte hanno parlato?
R. - Assolutamente sì. Il
mondo dello sport, con le sue degenerazioni, è segno di una educazione mancata, di
un approccio non vero, non progressivo, non giusto a tutto un mondo di valori che
sono alla base della nostra convivenza e che sono anche quelli che aiutano a progredire
come persone. Parlo dei valori del rispetto dell’altro, della sana competizione, della
gioia anche di poter gustare delle cose belle qual è appunto una partita di calcio,
il tempo libero, la gioia di poterlo condividere. Dobbiamo lavorare molto, su questi
aspetti.
D. - Anche sulla scia di questo drammatico
avvenimento, lei crede che nella sua attività in veste di vescovo di Parma prenderà
delle iniziative per la pastorale nel mondo dello sport?
R.
- Certamente. Io sto conoscendo questa realtà e so già che molti stanno lavorando
e lavorando bene con i ragazzi nel mondo dello sport: parlo degli oratori, parlo delle
società sportive... so che c’è un rapporto anche costruttivo, pastorale, con realtà
calcistiche significative. Mi inserirò molto volentieri in questa scia.