Aumenta il fenomeno della solitudine in Italia secondo un'indagine di Telefono Amico
Gli italiani: una folla spesso solitaria e in cerca di ascolto. E’ l’immagine disegnata
da Telefono Amico Italia sulla base delle 120mila chiamate che ogni anno vengono raccolte
dai circa 700 volontari. I dati rivelano un’elevata diffusione di depressione e solitudine
esistenziale. Per favorire il monitoraggio e la prevenzione del fenomeno, Telefono
Amico promuove un Osservatorio del disagio emozionale”. I primi dati saranno diffusi
a giugno. Paolo Ondarza ne ha parlato con il sociologo Enrico Finzi,
tra i promotori dell’iniziativa: R.
– Quel che è emerso è assolutamente tragico: è venuto fuori un oceano di solitudine
da parte degli italiani, che contrariamente a quello che si pensa non ha a che fare
prevalentemente con l’essere anziani, l’essere abbandonati, l’essere poveri e così
via. E’ più forte nelle fasce centrali di età, tra i 35 e i 54 anni. Riguarda più
gli uomini che le donne. E’ più forte nelle aree più ricche e avanzate, come al nord.
Tantissime persone che magari vivono in famiglia, hanno dei colleghi di lavoro, sentono
di non avere nessuno con cui parlare. Non è neanche gente che cerca soluzione ai problemi.
E’ semplicemente gente che chiede di essere ascoltata.
D.
– Come mai si preferisce l’anonimato di un telefono?
R.
– Questo per alcuni è un vantaggio perché permette di superare la timidezza. Naturalmente,
questa solitudine ha molti motivi. Certamente, uno dei principali è quello della secolarizzazione.
L’Italia della tradizione cristiana, delle parrocchie urbane, e ancor più di quelle
rurali, era un’Italia in cui difficilmente la gente era abbandonata a se stessa: era
conosciuta, poteva confidarsi, aveva il sacerdote in confessionale o non, come punto
di riferimento. Il fatto che in Italia questa tradizione si sia indebolita, e recentemente
si siano indebolite anche altre forme di convivenza più organizzata, lascia molta
gente a vivere in una condizione che per alcuni è fonte di vera e propria disperazione.
D. – A volte un orecchio che ascolta è molto più
utile di tanti consigli?
R. – Assolutamente sì. Dovremmo
farci di più orecchio per gli altri e intuire il loro bisogno di sfogarsi. Poi naturalmente
ci sono cose che competono ai sacerdoti, cose che competono agli psicologi e agli
psichiatri e così via. Ma tante volte un po’ di attenzione all’altro può riumanizzare
l’umanità, come il Pontefice ci ricorda spesso. Ascoltata, la persona spesso si rialza
da sola.
D. – Ciò di cui stiamo parlando smaschera
la mancanza oggi di figure di riferimento in persone che possano ascoltare, possano
rendersi prossime a chi è nel bisogno...
R. – Un
sociologo americano negli anni ’50 scrisse un libro con un bel titolo, “La folla solitaria”.
Parlando delle grandi metropoli americane diceva che ciascuno di noi sfiora o entra
in contatto con decine, centinaia di persone al giorno, ma è solo. Tante persone non
fanno un’umanità. Si può vedere tanta gente e, in fondo, chiudere la porta del proprio
animo e scoprirsi senza interlocutori. Essere attento all’altro, intuire che possa
avere bisogno di fare quattro chiacchiere, perdere tempo - il che vuol dire guadagnare
tutti tempo - non avere un approccio solo produttivistico, insomma farsi prossimo,
è importantissimo per chi riceve e per chi dà, perchè entrambi si arricchiscono. E
oggi chi dà, domani sarà in condizione di desiderare di ricevere.