Iraq: celebrazioni pasquali in un clima di insicurezza
In un clima di grande insicurezza i cristiani in Iraq si preparano a vivere le celebrazioni
pasquali. Secondo la Mezzaluna Rossa a cinque anni dall'intervento militare sono più
di un milione i civili morti . Con l'uccisione di 3 militari americani è poi salito
a 3995 il numero dei soldati statunitensi uccisi in Iraq. Ma come vivono i cristiani
iracheni il culmine dell'Anno Liturgico? Ci risponde, al microfono di Fabio Colagrande,
l'arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean-Benjamin Sleiman:
R. –
Cerchiamo di vivere normalmente, malgrado la situazione sia molto anormale. Cerchiamo
di fare del nostro meglio per celebrare le Liturgie. Certamente la gente è commossa
e felice di poter partecipare alle celebrazioni. Ma ci si accorge immediatamente che
la gente in fondo ha sempre una forte angoscia per il proprio il futuro.
D.
– Il Papa ha chiesto al popolo iracheno di sollevare la testa, di essere se stesso
e di ricostruire la propria vita nazionale. E’ possibile questo, secondo lei?
R.
– Certo, tutto è possibile. Bisogna, però, anzitutto esserne convinti. Ci vuole anche
un consenso internazionale, ma a me sembra che gli interessi siano ancora troppo contraddittori…
D.
– La morte di mons. Rahho ha avuto conseguenze sul dialogo tra cristiani e musulmani
nella vostra comunità?
R. – Il dialogo esiste in
alcune parti, ma non esiste in altre. Questa è la realtà di oggi di questo Paese.
Penso, però, che ci siano anche dei musulmani che non hanno accettato questo martirio
ed hanno cercato di esserci più vicini. Il dialogo, quindi, in certe situazioni è
peggiorato, ma in altre è migliorato.
D. – Secondo
lei, mons. Sleiman, qual è la causa degli attacchi contro i cristiani in Iraq?
R.
– Io penso che ci siano una serie di motivi politici, ma anche spinte di fondamentalismo
violento e di mafiosità.
D. – Questa violenza, insieme
con la guerra che oramai da cinque anni colpisce l’Iraq, sta portando ad un forte
esodo di cristiani. Come arrestare questa fuga, seconda lei?
R.
– Adesso che i cristiani hanno compreso bene quello che dice il Papa, stanno alzando
la testa e stanno comprendendo che la loro sofferenza è una sofferenza di innocenti.
Anche le loro sofferenze convergono nella sofferenza stessa del Cristo. E’ importante
la fede per resistere in questo Paese.
D. – I cristiani
della sua comunità partecipano alle cerimonie del Triduo?
R.
– I cristiani della mia comunità appartengono in realtà a tutte le comunità. La Chiesa
latina è infatti Chiesa ecumenica per sua stessa natura. Alle nostre assemblee partecipano
tutti i cristiani, appartenenti a tutte le Chiese compresa quella ortodossa. C’è una
partecipazione forte, commossa e spiritualmente felice di poter vivere i riti della
Settimana Santa. Ma sempre con un sentimento forte di angoscia per il proprio avvenire.
D. – Mons. Sleiman, come riuscirà in questa celebrazione
come vescovo a parlare della speranza della Resurrezione di fronte a questa situazione
di forte sofferenza?
R. – Per un cristiano, così
come per ogni essere umano che ci rifletta un po’, la violenza muore ai piedi della
Croce. Il primo nella storia che non risponde alla violenza con altra violenza è Cristo.
Non è Cristo che muore, ma è la violenza che muore ai piedi della sua Croce. Tutto
questo è quindi motivo di speranza.
D. – Che augurio
di Pasqua si sente di fare a chi ascolta la Radio Vaticana?
R.
– Noi abbiamo una sola parola: pace! Non la chiediamo al Signore soltanto per noi,
ma per tutti. Pace in Iraq vuol dire pace anche nei Paesi limitrofi e, forse, anche
più lontano. Noi vogliamo la pace e soltanto la pace!