Tibet: si allarga la protesta. Il Dalai Lama pronto a dialogare con la Cina ma dopo
segnali concreti
Nuovo appello del Dalai Lama alla Cina. Il leader tibetano si è detto disponibile
ad incontrare il presidente Hu Jintao a patto che ci siano i segnali da parte di Pechino
per intavolare i colloqui. Intanto il governo cinese ha ammesso che la protesta si
sta diffondendo in altre province e che non intende essere tollerante con chi commette
azioni criminali. Il nostro servizio:
“Indicazioni
concrete” che Pechino voglia il dialogo. E’ la richiesta del Dalai Lama per incontrare
le autorità cinesi, in particolare il presidente Hu Jintao anche se rivela che al
momento questa è “un’ipotesi non praticabile”. Intanto la Cina ha corretto il tiro
delle dichiarazioni del premier britannico Gordon Brown che, dopo una telefonata
con il suo omologo Wen Jabao, aveva reso noto la disponibilità di quest’ultimo ad
incontrare il Dalai Lama. C’è il desiderio di riavviare un dialogo - sostengono fonti
ufficiali - ma solo sulla base delle condizioni poste da Pechino. Dopo l’appello di
ieri per far ripartire le trattative, oggi il leader spirituale tibetano si è spinto
oltre aggiungendo di temere che siano “moltissime” le vittime delle manifestazioni
anti-governative. La Cina in realtà ha ammesso che si sono verificati scontri nella
provincia settentrionale del Gansu e che la protesta si è allargata. Almeno 20 gli
esuli tibetani fermati a Kathmandu, a Lhasa. Altre 24 persone sono state arrestate
ieri mentre sarebbero circa 170 quelle che si sono arrese “in maniera spontanea” alle
forze di polizia. La conta delle vittime, per la Cina, resta ferma a 13, diversa la
stima del governo tibetano in esilio che parla di cento morti. Intanto il ministero
degli Esteri cinesi ha chiarito che i “criminali” vanno “puniti secondo la legge”
e per loro non può esserci alcuna tolleranza. Infine sono stati cacciati dal Tibet
gli ultimi giornalisti presenti: si tratta di due corrispondenti tedeschi che per
alcuni giorni si erano rifiutati di lasciare la zona.
Afghanistan Visita
a sorpresa in Afghanistan del vicepresidente americano, Dick Cheney. Nel suo incontro
con il presidente Karzai, Cheney ha annunciato che gli Stati Uniti chiederanno ai
Paesi della NATO un maggior impegno nel Paese asiatico nel prossimo summit fissato
per il 4 aprile a Bucarest. Il vicepresidente ha anche parlato di Pakistan esprimendo
l’auspicio che Islamabad diventi un alleato efficace soprattutto dopo l’insediamento
del nuovo governo.
Pakistan Sarà scelto il prossimo 24 marzo il nuovo
primo ministro del Pakistan nella seduta del parlamento convocato dal presidente Musharraf.
Tra i più accreditati c’è Yousuf Raza Gilani, vicino all’ex premier Benazir Bhutto,
uccisa in un attentato a dicembre. Appartiene al Partito del Popolo pachistano anche
il presidente del Parlamento: la signora Fahmida Mirza. Nel Paese intanto prosegue
la violenza, in un attentato kamikaze al confine tra Afghanistan e Pakistan: cinque
soldati di Islamabad sono morti. La deflagrazione è avvenuta nella turbolenta regione
frontaliera del sud Waziristan, teatro di violenti scontri tra truppe e militanti
di Al-Qaeda.
Medio Oriente Un morto ed un ferito è il bilancio di
un’esplosione avvenuta a Gaza in una base delle Brigate Ezzedin Al Qassam, braccio
armato di Hamas. Una vittima anche a Khan Yunes, mentre una mina è esplosa senza causare
feriti vicino ad un gruppo di soldati al confine con la Striscia di Gaza.
Kosovo Ungheria,
Craozia e Bulgaria hanno riconosciuto ufficialmente il Kosovo. La Serbia ha notificato
a Zagabria una “forte protesta” e ha richiamato per consultazioni il suo ambasciatore
nella capitale croata. Quali potrebbero essere le conseguenze di questa decisione?
Salvatore Sabatino lo ha chiesto ad Alessandro Marzomagno, esperto di
Balcani ed Europa Orientale del settimanale “Diario”:
R. –
E’ evidente che c’è una strategia dell’Unione Europea per fare pressioni sulla Serbia,
perchè si avvicini anch’essa all’Europa. Ma avvicinarsi all’UE significa allentare
la pressione sul Kosovo, allentare la posizione rigida che ha assunto ultimamente.
Il problema è che effettivamente c’è il rischio che tutto questo irrigidisca l’opinione
pubblica serba e faccia sì che alle prossime elezioni vincano i partiti nazionalisti,
i più contrari all’indipendenza del Kosovo, che già sono abbastanza forti in Serbia.
Per cui c’è, effettivamente, un pericolo di radicalizzazione. La Serbia, poi, pensa
che la soluzione del problema sia la Russia, sia Mosca. Quindi si riproducono vecchi
schemi e la situazione resta abbastanza intricata.
D.
– Tra l’altro bisogna dire che il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha
autorizzato il Pentagono a fornire armi a Pristina. Si tratta de primo passo concreto
dell’avvio di relazioni paritarie da Stato a Stato, tra Washington e l’ex provincia
serba. Quale potrebbe essere a questo punto la risposta russa?
R.
– Fornire armi ai serbi... Non so, i serbi di armi ne hanno abbastanza: ne hanno usate
abbastanza e mi auguro che non abbiano più voglia di usarle. D’altra parte, il Kosovo
è una provincia dove il 90 per cento della popolazione è albanese, per cui non so
se ci sia effettivamente voglia di fare ancora la guerra. C’è, però, questa voglia
di fare la voce grossa e di usare le istanze nazionalistiche per vincere le elezioni.
Penso che nessun serbo sia sinceramente convinto di andare a marciare su Pristina.
Penso che molti serbi siano disposti a votare per i partiti nazionalisti che hanno
come motto: “o Pristina o morte”.
Cecenia Escalation di violenza
in Cecenia. Nove persone hanno perso la vita in uno scontro a fuoco tra ribelli separatisti
e forze di sicurezza nei dintorni del villaggio di Alkhazurovo. Da almeno cinque anni,
la Russia ha avviato una serie di lavori di ricostruzione delle infrastrutture.
Armenia Ritorno
alla normalità in Armenia. Non sarà rinnovato lo stato di emergenza che scade stanotte.
Il provvedimento era stato decretato i primi di marzo dopo il risultato delle elezioni
presidenziali che avevano consegnato la vittoria a Serge Sarkisian, considerato vicino
all’ex capo dello stato Robert Kociarian. Nei disordini persero la vita otto persone
e altre 25 rimasero feriti.
Belgio Giura oggi il nuovo governo del
Belgio nato dopo una lunga crisi politica durata nove mesi. Yves Leterme ha ricevuto
l’incarico di formare l’esecutivo da re Alberto II. Nel pomeriggio è prevista la fiducia
al Parlamento. Oltre al premier, ci saranno sette ministri francofoni, in rappresentanza
dei partiti liberale, centrista e socialista, e altrettanti fiamminghi, per il partito
cristiano-democratico e per quello liberale. (Panoramica internazionale a cura
di Benedetta Capelli)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 79 E'
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