Mons. Tomasi all'ONU: i cristiani perseguitati nel mondo sono poco difesi dalla comunità
internazionale
“Non esiste angolo del mondo che sia esente dall’esperienza della discriminazione
razziale”: è la denuncia lanciata ieri da mons. Silvano Tomasi durante la settima
sessione del Consiglio ONU per i diritti umani in corso a Ginevra. Proprio domani
la comunità internazionale celebrerà la Giornata mondiale contro il razzismo. L’osservatore
permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU della città elvetica ha parlato delle
tante violazioni dei diritti umani, in particolare contro le minoranze etniche e religiose.
Ascoltiamo mons. Tomasi al microfono di Sergio Centofanti:
R. –
Se guardiamo un po’ in giro per il mondo, vediamo che in questo momento ci sono categorie
di persone che vengono trattate come se fossero cittadini di seconda classe e questo
semplicemente perchè appartengono ad un gruppo etnico diverso o perchè hanno un colore
della pelle diverso. Questo viene applicato in concreto in quelle situazioni interne
a Paesi, dove vivono minoranze storiche che sono un po’ diverse dal resto della popolazione
e dove la paura dell’altro cresce col processo di globalizzazione. Nel senso che l’unità,
che viene data dall’economia e da una cultura comune, che viene divulgata dai mezzi
di comunicazione, spaventa alcuni gruppi di persone che si rinchiudono nel proprio
senso di identità storica e nel proprio senso di tradizione nazionale e, quindi, tutti
gli altri diventano delle persone un po’ sospette.
D.
– Come può la Comunità internazionale vincere il razzismo, la xenofobia e far rispettare
i diritti delle minoranze etniche?
R. – I passi concreti
che la Comunità internazionale può compiere sono quelli di creare degli strumenti
giuridici che proteggano tutti e, quindi, in modo particolare proprio le vittime stesse
della discriminazione. La costruzione di un impianto giuridico non è però sufficiente,
secondo me. E’ necessario fare un passo in avanti e cercare di cambiare l’atteggiamento
del cuore. Aprire, quindi, il cuore per accettare l’altro, vedendo nell’altro qualcuno
di importante e di uguale a me e il cui contribuito può essere di beneficio non solo
ad una persona, ma a tutta la comunità.
D. - Al
centro del suo intervento anche la libertà religiosa. Ha ricordato che in alcuni Paesi
è difficile, per esempio per i cristiani, professare pubblicamente la loro fede, perché
sono costretti all’invisibilità…
R. – Bisogna anzitutto
mettere in luce che non è solo una religione ad essere bersagliata: sono un po’ tutte
le religioni nelle diverse parti del mondo che hanno questi problemi. Non bisogna
dimenticare le vittime di tutte queste discriminazioni religiose, come i cristiani,
che in questo momento in Medio Oriente e in altri Paesi si trovano in condizioni di
estrema emarginazione e sono un po’ il target, il punto di riferimento di atti ostili.
D. – Lei, quindi, dice che a livello internazionale
si parla poco dell’emarginazione e a volte delle persecuzioni dei cristiani nel mondo?
R.
– A me sembra che l’accento venga posto su una dimensione quasi politica della questione:
in questo momento l’Islam è difeso e sostenuto da governi, da organizzazioni intergovernative
molto ben organizzate ed efficaci, mentre dal punto di vista della fede cristiana
ci troviamo semplicemente di fronte ad organismi di volontariato che cercano di sostenere
le vittime cristiane della discriminazione. C’è, quindi, un certo squilibrio in questo
senso anche perchè gli Stati laici europei, forse, non si sentono molto a proprio
agio nell’affrontare questa tematica.