Omelia di Benedetto XVI par la messa della Domenica delle Palme (testo integrale).
Cari fratelli e sorelle,
anno dopo anno il brano evangelico della Domenica
delle Palme ci racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Insieme ai suoi discepoli
e ad una schiera crescente di pellegrini, Egli era salito dalla pianura della Galilea
alla Città Santa. Come gradini di questa salita, gli evangelisti ci hanno trasmesso
tre annunzi di Gesù relativi alla sua Passione, accennando con ciò allo stesso tempo
all’ascesa interiore che si stava compiendo in questo pellegrinaggio. Gesù è in cammino
verso il tempio – verso il luogo, dove Dio, come dice il Deuteronomio, aveva voluto
“fissare la sede” del suo nome (cfr 12, 11; 14, 23). Il Dio che ha creato cielo e
terra si è dato un nome, si è reso invocabile, anzi, si è reso quasi toccabile da
parte degli uomini. Nessun luogo può contenerLo e tuttavia, o proprio per questo,
Egli stesso si dà un luogo e un nome, affinché Lui personalmente, il vero Dio, possa
esservi venerato come il Dio in mezzo a noi. Dal racconto su Gesù dodicenne sappiamo
che Egli ha amato il tempio come la casa del Padre suo, come la sua casa paterna.
Ora viene di nuovo a questo tempio, ma il suo percorso va oltre: l’ultima meta della
sua salita è la Croce. È la salita che la Lettera agli Ebrei descrive come la salita
verso la tenda non fatta da mani d’uomo, fino al cospetto di Dio. L’ascesa fino al
cospetto di Dio passa attraverso la Croce. È l’ascesa verso “l’amore sino alla fine”
(cfr Gv 13, 1), che è il vero monte di Dio, il definitivo luogo del contatto tra Dio
e l’uomo.
Durante l’ingresso a Gerusalemme, la gente rende omaggio a Gesù come
figlio di Davide con le parole del Salmo 118 [117] dei pellegrini: “Osanna al figlio
di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei
cieli!” (Mt 21, 9). Poi Egli arriva al tempio. Ma là dove doveva esservi lo spazio
dell’incontro tra Dio e l’uomo, Egli trova commercianti di bestiame e cambiavalute
che occupano con i loro affari il luogo di preghiera. Certo, il bestiame lì in vendita
era destinato ai sacrifici da immolare nel tempio. E poiché nel tempio non si potevano
usare le monete su cui erano rappresentati gli imperatori romani che stavano in contrasto
col Dio vero, bisognava cambiarle in monete che non portassero immagini idolatriche.
Ma tutto ciò poteva essere svolto altrove: lo spazio dove ora ciò avveniva doveva
essere, secondo la sua destinazione, l’atrio dei pagani. Il Dio d’Israele, infatti,
era appunto l’unico Dio di tutti i popoli. E anche se i pagani non entravano, per
così dire, nell’interno della Rivelazione, potevano tuttavia, nell’atrio della fede,
associarsi alla preghiera all’unico Dio. Il Dio d’Israele, il Dio di tutti gli uomini,
era in attesa sempre anche della loro preghiera, della loro ricerca, della loro invocazione.
Ora, invece, vi dominavano gli affari – affari legalizzati dall’autorità competente
che, a sua volta, era partecipe del guadagno dei mercanti. I mercanti agivano in modo
corretto secondo l’ordinamento vigente, ma l’ordinamento stesso era corrotto. “L’avidità
è idolatria”, dice la Lettera ai Colossesi (cfr 3, 5). È questa l’idolatria che Gesù
incontra e di fronte alla quale cita Isaia: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera”
(Mt 21, 13; cfr Is 56, 7) e Geremia: “Ma voi ne fate una spelonca di ladri” (Mt 21,
13; cfr Ger 7, 11). Contro l’ordine interpretato male Gesù, con il suo gesto profetico,
difende l’ordine vero che si trova nella Legge e nei Profeti.
Tutto ciò deve
oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta,
così che a partire da essa anche i “pagani”, le persone che oggi sono in ricerca e
hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri
della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori
pure loro? La consapevolezza che l’avidità è idolatria raggiunge anche il nostro cuore
e la nostra prassi di vita? Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche
nel mondo della nostra fede? Siamo disposti a lasciarci sempre di nuovo purificare
dal Signore, permettendoGli di cacciare da noi e dalla Chiesa tutto ciò che Gli è
contrario?
Nella purificazione del tempio, però, si tratta di più che della
lotta agli abusi. È preconizzata una nuova ora della storia. Adesso sta cominciando
ciò che Gesù aveva annunciato alla Samaritana riguardo alla sua domanda circa la vera
adorazione: “È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno
il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4, 23). È
finito il tempo in cui venivano immolati a Dio degli animali. Già da sempre i sacrifici
di animali erano stati solo una sostituzione, un gesto del desiderio del vero modo
di adorare Dio. La Lettera agli Ebrei, sulla vita e sull’operare di Gesù ha posto
come motto una frase del Salmo 40 [39]: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,
un corpo invece mi hai preparato” (Ebr 10, 5). Al posto dei sacrifici cruenti e delle
offerte di vivande subentra il corpo di Cristo, subentra Lui stesso. Solo “l’amore
sino alla fine”, solo l’amore che per gli uomini si dona totalmente a Dio, è il vero
culto, il vero sacrificio. Adorare in spirito e verità significa adorare in comunione
con Colui che è la verità; adorare nella comunione col suo Corpo, nel quale lo Spirito
Santo ci riunisce.
(Gli evangelisti ci raccontano che, nel processo contro
Gesù, si presentarono falsi testimoni e affermarono che Gesù aveva detto: “Posso distruggere
il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni” (Mt 26, 61). Davanti a Cristo pendente
dalla Croce alcuni schernitori fanno riferimento alla stessa parola, gridando: “Tu
che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!” (Mt 27,
40). La giusta versione della parola, come uscì dalla bocca di Gesù stesso, ce l’ha
tramandata Giovanni nel suo racconto della purificazione del tempio. Di fronte alla
richiesta di un segno con cui Gesù doveva legittimarsi per una tale azione, il Signore
rispose: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2, 18s).
Giovanni aggiunge che, ripensando a quell’evento dopo la Risurrezione, i discepoli
capirono che Gesù aveva parlato del Tempio del suo Corpo (cfr 2, 21s). Non è Gesù
che distrugge il tempio; esso viene abbandonato alla distruzione dall’atteggiamento
di coloro che, da luogo d’incontro di tutti i popoli con Dio, l’hanno trasformato
in una “spelonca di ladri”, in un luogo dei loro affari. Ma, come sempre a partire
dalla caduta di Adamo, il fallimento degli uomini diventa l’occasione per un impegno
ancora più grande dell’amore di Dio nei nostri confronti. L’ora del tempio di pietra,
l’ora dei sacrifici di animali era superata: il fatto che ora il Signore scacci fuori
i mercanti non solo impedisce un abuso, ma indica il nuovo agire di Dio. Si forma
il nuovo Tempio: Gesù Cristo stesso, nel quale l’amore di Dio si china sugli uomini.
Egli, nella sua vita, è il Tempio nuovo e vivente. Egli, che è passato attraverso
la Croce ed è risorto, è lo spazio vivente di spirito e vita, nel quale si realizza
la giusta adorazione. Così la purificazione del tempio, come culmine dell’ingresso
solenne di Gesù in Gerusalemme, è insieme il segno della incombente rovina dell’edificio
e della promessa del nuovo Tempio; promessa del regno della riconciliazione e dell’amore
che, nella comunione con Cristo, viene instaurato oltre ogni frontiera.)
San
Matteo, il cui Vangelo ascoltiamo in questo anno, riferisce alla fine del racconto
della Domenica delle Palme, dopo la purificazione del tempio, ancora due piccoli avvenimenti
che, di nuovo, hanno un carattere profetico e ancora una volta rendono a noi chiara
la vera volontà di Gesù. Immediatamente dopo la parola di Gesù sulla casa di preghiera
di tutti i popoli, l’evangelista continua così: “Gli si avvicinarono ciechi e storpi
nel tempio ed Egli li guarì”. Inoltre, Matteo ci dice che dei fanciulli ripeterono
nel tempio l’acclamazione che i pellegrini avevano fatto all’ingresso della città:
“Osanna al figlio di Davide” (Mt 21, 14s). Al commercio di animali e agli affari col
denaro Gesù contrappone la sua bontà risanatrice. Essa è la vera purificazione del
tempio. Egli non viene come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario.
Viene col dono della guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità
vengono spinti agli estremi della loro vita e al margine della società. Gesù mostra
Dio come Colui che ama, e il suo potere come il potere dell’amore. E così dice a noi
che cosa per sempre farà parte del giusto culto di Dio: il guarire, il servire, la
bontà che risana.
E ci sono poi i fanciulli che rendono omaggio a Gesù come
figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per
entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso,
che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci
verso Dio. Per riconoscere Dio dobbiamo abbandonare la superbia che ci abbaglia, che
vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente. Per incontrare
Dio bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un
cuore di bambini, un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato
da interessi. Così, nei piccoli che con un simile cuore libero ed aperto riconoscono
Lui, la Chiesa ha visto l’immagine dei credenti di tutti i tempi, la propria immagine.
Cari
amici, in questa ora ci associamo alla processione dei giovani di allora – una processione
che attraversa l’intera storia. Insieme ai giovani di tutto il mondo andiamo incontro
a Gesù. Da Lui lasciamoci guidare verso Dio, per imparare da Dio stesso il retto modo
di essere uomini. Con Lui ringraziamo Dio, perché con Gesù, il Figlio di Davide, ci
ha donato uno spazio di pace e di riconciliazione che abbraccia, nella Santa Eucaristia,
il mondo. PreghiamoLo, affinché diventiamo anche noi con Lui e a partire da Lui messaggeri
della sua pace, adoratori in Spirito e Verità, affinché in noi ed intorno a noi cresca
il suo Regno. Amen.