Intervista con il cardinale Bertone sul suo viaggio in Armenia e Azerbaigian
Dal 4 al 9 marzo scorsi il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha
compiuto un importante viaggio in Armenia e Azerbaigian. Al suo rientro ha rilasciato
una intervista congiunta a Giovanni Peduto della Radio Vaticana, a Carlo
Di Cicco dell’Osservatore Romano e al Centro Televisivo Vaticano: D.
– Perché una visita del segretario di Stato in Armenia e in Azerbaigian, nonostante
le forti tensioni in quella regione?
R. – L’Armenia
e l’Azerbaigian hanno una densità tale di storia, anche di storia religiosa, e sono
ai confini tra l’Europa e l’Asia, che attirano tanti visitatori e non potevo, di fronte
agli inviti specifici delle autorità religiose e delle autorità civili di queste due
Nazioni, non fare una visita in nome e per mandato del Papa. D’altra parte, come sappiamo,
già Papa Giovanni Paolo II aveva visitato queste due regioni, suscitando un grande
entusiasmo, una grande adesione, un ricordo incancellabile.
D.
– Nei suoi discorsi, pronunciati in Armenia e in Azerbaigian, lei ha sottolineato
l’importanza del dialogo ecumenico e tra le religioni. Può riferirci un po’ sulla
situazione attuale nei due Paesi a tal riguardo?
R.
– L’Armenia si caratterizza per una convivenza tra la antica comunità armeno-apostolica
e la comunità cattolica degli armeni. In Azerbaigian convivono una grande comunità
musulmana e due piccole comunità cattolica e ortodossa. Sono due Paesi caratteristici.
In questo senso, il dialogo prettamente ecumenico è molto sviluppato in Armenia: ricordiamo
la visita a Roma del catholicos armeno, Karekin I, i rapporti perfino di amicizia
tra Giovanni Paolo II e Karekin I e dal 2001 con Karekin II. Per quanto riguarda l’Azerbaigian,
ricordiamo anche i rapporti dello Sheik ul-Islam, che è il grande capo dei musulmani
del Caucaso, con la Chiesa cattolica e con il Papa stesso-Si può ben dire perciò che
sono due Paesi emblematici per i rapporti tra Chiese cristiane e per i rapporti tra
la Chiesa cattolica e il mondo islamico. Naturalmente, con caratteristiche e connotazioni
ben differenti ma con una ricchezza di storia che riguarda anche le origini del cristianesimo.
Sappiamo che, secondo una antica tradizione, i due Paesi furono evangelizzati dagli
Apostoli Bartolomeo e Taddeo. Proprio a Baku, la capitale dell’Azerbaigian, per esempio,
dal direttore della Società storica locale, ci sono stati mostrati i resti della cosiddetta
tomba di San Bartolomeo. Perfino in un Paese musulmano come l’Azerbaigian sono conservati
con rispetto i resti archeologici, i segni dei ricordi della prima evangelizzazione
cristiana. Pensiamo poi che da queste terre sono passati i grandi missionari del Medio
Evo per andare fino alla Mongolia e verso la Cina: ricordiamo la famosa via delle
carovane, la via della seta. Adesso, i rapporti tra la Chiesa cattolica e il Catholicos
di Etchemiadzin, che ha la sua Santa Sede proprio a Yerevan, sono molto buoni e attendiamo
prossimamente la visita a Roma del catholicos Karekin II. C’è un dialogo intenso,
positivo, una collaborazione, una stima reciproca; la grande stima – come già annotato
– per Papa Giovanni Paolo II e ora per Papa Benedetto XVI è indubbia, fuori discussione.
L’autorità morale del Papa è riconosciuta e apprezzata, e così i rapporti tra lo Sheykh-ul-Islam
Allah Shukur Pasha Zade, il capo dei musulmani, e la Chiesa cattolica. La stima che
manifesta questa grande autorità religiosa musulmana verso la Chiesa cattolica, verso
il Papa, è molto grande e non ha subìto nessuna flessione: anche in questi ultimi
tempi è stata manifestata nei discorsi pubblici, di fronte ai capi delle comunità
musulmane dell’Azerbaigian e del Caucaso.
D. – Lei
ha sostato in preghiera davanti al monumento delle vittime armene. Di quali vittime
si tratta?
R. – Purtroppo, si tratta un numero sterminato
di vittime; un milione e mezzo circa di persone sono state eliminate nel 1915. Intervenendo
a difesa del popolo armeno, Benedetto XV, già nel medesimo anno, parlò di “un popolo
che rischia di essere condotto alla soglia dell’annientamento”. Quindi, sono cristiani
trucidati per lo scoppio di quello che è stato definito il “Grande Male” che ha colpito
l’Armenia e il popolo cristiano dell’Armenia. C’è una grande venerazione per queste
vittime, che sono l’esempio del martirio di un popolo all’inizio del secolo XX, che
ha intrapreso – purtroppo – quel calvario di genocidi che ha caratterizzato questo
secolo. Allora, era doveroso inchinarsi davanti a queste vittime e portare l’omaggio
della Chiesa cattolica come, peraltro, aveva già fatto Papa Giovanni Paolo II. Devo
dire che sono andato anche al monumento delle vittime dell’eccidio comunista degli
azeri. Come si sa, dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati trucidati centinaia
di azeri. Sostando davanti al monumento che ricorda questo dramma ho portato i fiori
come omaggio della Chiesa cattolica. Il Presidente dell’Azerbaigian indipendente Heydar
Aliyev ha il merito di aver saputo superare i conflitti ed effettuare le riforme più
importanti nel Paese. D. – Ora che lei è rientrato in Vaticano,
quale risonanza ha nel suo animo l’incontro con il popolo armeno?
R.
– Anzitutto, il ricordo incancellabile della devozione, della religiosità del popolo
armeno. Un ricordo che diventa anche preghiera, che diventa comunione di intenti,
collaborazione in campo ecumenico e in campo interreligioso; è un ricordo che mi mette
davanti agli occhi – anche visivamente, non solo per avere studiato la storia e le
carte – i volti di tante persone, sia della Chiesa apostolico-armeno, sia della Chiesa
cattolica armena.
D. – Lei ha dipinto l’Azerbaigian
come modello di convivenza tra le religioni. Si tratta di un modello di dialogo imitabile?
R.
– Ho visto concretamente in Azerbaigian la stima di cui godono le piccole Chiese –
la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica. Si tratta di circa 390, forse 400
fedeli cattolici. E’ un modello di convivenza, perché, ad esempio, il presidente che
ho citato - Heydar Aliyev – con la disponibilità dello sceicco musulmano, aveva offerto
il terreno per la ricostruzione della chiesa della comunità cattolica che era stata
distrutta sotto il regime comunista. E’ un segnale che testimonia un rispetto per
le altre religioni, da parte sia delle autorità politiche sia delle autorità religiose
musulmane dell’Azerbaigian, che è ammirevole, e dove certamente è riconoscibile il
connotato di una società moderna, laica, che però riconosce il valore pubblico delle
religioni per lo sviluppo e per la pacifica convivenza in una comunità politica. Mi
sembra, quindi, che sotto questo profilo sia un modello imitabile, direi esportabile,
naturalmente con i mezzi pacifici, perché altrimenti andremmo contro il principio
di libertà. Da imitare, perché non si tratta di pura “tolleranza” in senso negativo:
perché la tolleranza può avereuna connotazione negativa, quasi
che sia un atteggiamento forzato; qui si tratta di una tolleranza positiva, che aiuta
le altre religioni ad esprimersi anche pubblicamente, come è stato in Azerbaigian
con la costruzione della chiesa, e anche con le attività a sfondo sociale che la Chiesa
cattolica svolge. L’ho visto, per esempio, con la comunità delle Suore di Madre Teresa
che ha istituito un centro di aiuto, di raccolta dei senzatetto, e le suore sono stimate
e rispettate dalle autorità e, naturalmente, dal popolo azero.
D.
– I cattolici in Azerbaigian non arrivano nemmeno a 400 unità. Quale futuro ha questa
piccola comunità?
R. – Intanto, è una comunità che
vive intensamente la propria fede e che prega. In occasione della inaugurazione della
nuova chiesa cattolica un coro di non cattolici, di non cristiani, un coro di azeri
– il Coro della Filarmonica di Baku, accompagnato dall’Orchestra – ha cantato un’“Ave
Maria” bellissima in latino e in azero. Quindi, il rispetto della comunità cattolica
e, direi, l’attrazione della comunità cattolica, le sue preghiere, le sue tradizioni
– la tradizione di devozione alla Madonna, la Madre di Gesù – esercitano la loro influenza.
Poi, il rispetto di questa comunità collegata alla “Grande Chiesa”: è un piccolo gregge
– come dice Gesù nel Vangelo – una piccola comunità, ma intimamente legata alla grande
Chiesa cattolica – quindi universale – e alla Santa Sede, alla autorità morale del
Papa, che è molto stimato. E poi, è una Chiesa che propone: propone l’annuncio di
Cristo con il rispetto e l’osservanza – naturalmente – delle regole di vita della
comunità musulmana, ma che acquista giorno per giorno, sempre più stima e rispetto
e forse, in futuro, potrà anche crescere numericamente. A questo proposito
vorrei ricordare il lodevole impegno dei Salesiani provenienti dalla Slovacchia, che
si prendono cura della comunità cattolica, con la proiezione di cui ho appena parlato. D.
– C’è una lezione utile che viene da queste realtà minoritarie religiose per i Paesi
a maggioranza cattolica e di antica tradizione cattolica?
R.
– Intanto, direi l’esigenza di conservare intatta la propria identità in forma propositiva
– non in forma impositiva – e poi, la povertà dei mezzi che caratterizza queste piccole
comunità, che non hanno le grandi strutture dei Paesi di antica cristianità, ma che
si impongono per la credibilità della professione della loro fede: non hanno paura
di professare pubblicamente la loro fede, sono stimati anche perché sanno pregare.
Diverse persone, anche non cristiane, quindi non battezzate, partecipano a volte ai
loro momenti di preghiera. Quindi: non bisogna aver paura di presentare e proporre
la propria identità, ma occorre tenere un atteggiamento di grande rispetto per le
altre religioni, di dialogo e di collaborazione, soprattutto sui valori fondamentali
della convivenza umana.
D. – Conserva una immagine
speciale di questo suo viaggio in Armenia e Azerbaigian?
R.
– Senza dubbio. Non posso ormai trascorrere la mia vita – e anche i miei sogni – senza
i richiami di queste due grandi realtà, e non posso nemmeno impostare la mia preghiera
quotidiana senza invocare l’aiuto del Signore per queste comunità, per le persone
che ho conosciuto, il loro volto, la loro missione nella difficile situazione di questi
due Paesi, e senza pensare anche alla storia: una storia, come ho detto, molto densa,
impregnata di ricordi cristiani. Pensiamo che i primi secoli di vita dell’Azerbaigian
sono intrisi di segni dell’attività dei primi cristiani, una comunità cristiana viva,
professante la propria fede, forse evangelizzata dagli Apostoli o dai primi discepoli
degli Apostoli. Il Signore Gesù è il Signore della Storia anche di questi Paesi, dove
adesso i cristiani sono un piccolo gregge, ma nonostante ciò dobbiamo essere certi
che ogni segmento temporale della storia di ogni nazione può essere decisivo, non
solo per la storia della Nazione specifica, ma anche per la Storia dell’umanità. Ecco:
in Armenia e in Azerbaigian, come in tutti i Paesi circostanti, c’è una specie di
intreccio di complessità, di bellezza, di ricordi, un mosaico etnico ma anche di influssi
che dal lontano passato continuano ad incidere sul presente, e forse anche a costruire
un futuro che speriamo sempre migliore. Un futuro di convivenza pacifica, un futuro
di fraternità.