Convegno sul diritto dei disabili a partecipare alle celebrazioni liturgiche
“La Parola di Dio è per tutti e la fede va ben al di là di una piena comprensione
intellettiva”. Così mons. Ambrogio Spreafico, rettore della Pontificia Università
Urbaniana, riafferma il diritto delle persone con disabilità anche molto gravi, a
partecipare alle celebrazioni liturgiche, a ricevere i sacramenti e a seguire la catechesi.
Sull’argomento, affrontato in un recente convegno promosso a Roma dall’Ufficio Catechistico
Nazionale, si è pronunciato molto chiaramente anche Benedetto XVI nell’Esortazione
apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis. Ma è possibile arrivare a una fede
profonda e matura anche a dispetto di forti handicap fisici o mentali? Questa la risposta
di mons. Spreafico al microfono di Silvia Gusmano.
R. –
E’ possibile perché, innanzitutto, ce lo mostrano i Vangeli, cioè Gesù incontra malati
che esprimono la loro fede in maniera molto semplice, talvolta solo con un grido,
talvolta addirittura senza parole. Ma Gesù dice “La tua fede ti ha salvato”. Ed io
credo che questo sia un segno di una fede matura, una fede che non è solo razionale.
Lo vedo anche nella mia esperienza personale, incontrando nella Messa domenicale tanti
disabili. Hanno una comprensione profonda di ciò che avviene nell’Eucaristia, dell’incontro
con Gesù e del Vangelo che ascoltano.
D. – Quindi,
è giusto che persone con disabilità, anche molto gravi, prendano i sacramenti...
R.
– Sono convinto di sì. Penso che dobbiamo aiutarli, dobbiamo aiutare tutti, anche
a crescere nella comprensione della fede.
D. – Come
far capire alla comunità dei fedeli in Chiesa, che spesso è insofferente verso la
presenza di persone disabili, che si muovono, strillano, disturbano quindi la liturgia,
la ricchezza che rappresentano invece per la comunità stessa?
R.
- Io credo che bisogna innanzitutto spiegare che anche i disabili capiscono e hanno
una comprensione diversa, ma non meno profonda della nostra. Poi credo che bisogna
aiutare la gente delle parrocchie a condividere la vita di fede con queste persone.
Non bisogna metterle da una parte, ma bisogna integrarle nella vita della parrocchia,
perchè sono una ricchezza. Tante volte i disabili non hanno tutte quelle difese che
noi abbiamo e quindi la loro comunicazione è molto immediata e questo talvolta conquista
gli altri, conquista quella gioia della vita cristiana che tutti noi dovremmo manifestare
e comunicare agli altri.
D. – A volte le famiglie
lamentano una scarsa preparazione dei sacerdoti stessi in merito a catechesi ai disabili
o addirittura una loro scarsa attenzione verso le problematiche specifiche connesse
alla loro realtà...
R. – Sì, è vero che talvolta
i sacerdoti sono soli, non sanno come fare e quindi io credo che noi dobbiamo imparare
a chiedere aiuto ai laici e anche ad avere la pazienza di costruire un itinerario
di fede, di preparazione ai sacramenti che non escluda i disabili. Certo, non è semplice,
non è facile, ma ci sono tanti mezzi e tante persone che ci possono aiutare a fare
questo.