I missionari Cappuccini in Camerun a fianco dei deboli: la testimonianza del custode,
padre Felice Trussardi
Da 25 anni in Camerun, i missionari Cappuccini sono impegnati in attività sociali
e formative, oltre che pastorali. In particolare, poi, i religiosi danno assistenza
spirituale al convento delle Suore francescane e all’ospedale da loro gestito nella
diocesi di Kumbo. Per una testimonianza sull’impegno dei Frati cappuccini nel Paese
africano, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente in Camerun, il Custode
padre Felice Trussardi:
(musica)
R.
- Nella parrocchia dove ci troviamo, a parte le suore che hanno moltissime attività,
c’è un grande ospedale. Siamo in mezzo ai monti, e a parte i villaggi, ci occupiamo
dell’ospedale, e del Centro cardiologico che si sta facendo adesso. Poi c’è tutta
la pastorale ordinaria, c’è il piccolo seme di questa parrocchia... Inoltre, ci siamo
aperti ad altre realtà: alla città di Bamenda e, recentemente, ad un’altra città come
Bafoussam. Lì le situazioni sono un po’ diverse. A Bamenda, stiamo costruendo ora
una casa per accogliere la gente di strada. Dopo tanti anni che abbiamo collaborato
in questo servizio, adesso vorremmo offrire noi una casa: una casa molto semplice,
almeno un posto per dormire, un posto per mangiare per questa gente che è disturbata
mentalmente. Cominceremo a costruirla il mese prossimo. Ci chiamavano “i frati del
popolo” e cerchiamo di esserlo con queste persone abbandonate a se stesse, che hanno
perso i legami con la loro famiglia. Noi non risolveremo tutti i loro problemi, però
potremo almeno offrire un posto dove possano sentirsi accolti ed accettati per quello
che sono e avere le cose più semplici: un piatto di minestra, un luogo per riposarsi,
seguiti dai nostri frati e dalla gente che pian piano si lascia coinvolgere in questa
realtà.
D. - Come guarda la gente del luogo a questa
realtà? Soprattutto, come risponde alle sollecitazioni da parte dei missionari Cappuccini?
R.
- La gente qui non può aiutare molto con i soldi, come siamo abituati a fare da noi,
però ci sono vari gruppi che visitano questi ospiti-amici. C’è chi porta un po’ di
patate, chi porta qualche altra cosa. Ognuno, nel suo piccolo, si sente responsabile:
in tanti vogliono darsi da fare, sentono che questa gente non può essere lasciata
così, abbandonata a se stessa. Questa gente viene ad aiutarci così come ci aiuta per
le carceri di Bamenda, di Bafoussam, per le quali ci vengono offerte tante cose, perché
anche i detenuti abbiano qualcosa. Noi mettiamo in collegamento tutto questo: facciamo
superare i pregiudizi, le difficoltà nei riguardi di coloro che vivono in strada,
verso i carcerati, cerchiamo di ricostruire un po’ i legami, ricontattare le famiglie...
Non è che sia la soluzione di tutto, ma mi sembra già qualcosa che è, peraltro, già
radicato nella realtà africana. In fin dei conti, siamo tutti uniti, tutti insieme,
e se uno vive isolato allora è proprio tagliato fuori. Ricostruire questi legami che
si sono rotti per tante ragioni - sia con questa gente di strada, sia con i carcerati
- mi sembra sia un po’ anche il nostro impegno. (musica)