2008-03-08 12:08:46

Tregua nella crisi andina: il commento di padre Lombardi


“Formuliamo un appello urgente ai capi di Stato affinché, basandosi sulla antica saggezza e sul patrimonio cristiano dei suoi popoli, rinuncino alle opzioni violente”. Così, i presidenti delle 22 Conferenze episcopali dell’America Latina e dei Caraibi nella dichiarazione resa pubblica ieri, poco prima che nella Repubblica Dominicana durante la XX Riunione del “Gruppo di Rio”, a sorpresa e con gesti clamorosi, i Presidenti della Colombia, Venezuela, Ecuador e Nicaragua hanno deciso, almeno per ora, di mettere fine alla grave crisi che durante una settimana ha fatto temere una guerra. Il servizio di Luis Badilla:RealAudioMP3


Mentre il presidente colombiano Alvaro Uribe chiedeva scusa ai suoi colleghi e riconosceva di aver violato la sovranità territoriale dell’Ecuador e stringeva le mani a Hugo Chávez, Rafael Correa e Daniel Ortega, i vescovi latinoamericani formulavano un “appello urgente ai capi di Stato affinché, senza risparmiare nulla trovassero le soluzioni che favoriscano la pace e la concordia”. Durante la prima parte della riunione del Gruppo di Rio, presenti i leader di 17 Paesi, un duro scambio di opinioni, scivolato a un certo punto anche negli insulti, faceva presagire il peggio.

 
Fondamentale nella momentanea composizione della crisi il ruolo politico e diplomatico del presidente della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández, non solo per i suoi accorati appelli alla pace e al dialogo, ma anche perché ha saputo guidare la discussione con abilità ed intelligenza mettendo in evidenza i punti deboli delle posizioni dei 4 Paesi. Per superare la crisi, ha fatto capire Fernández, queste nazioni troveranno nel resto dell’America Latina ogni tipo di solidarietà e sostegno. Per portare la regione verso un conflitto armato, ha detto, “non ci potrà essere mai nessuna solidarietà”. D’altra parte il presidente dominicano ha prospettato, ricevendo l’appoggio di tutti, anche se con alcune sfumature da parte del Venezuela, che ormai le FARC “sono una questione regionale e non solo colombiana. A violare le sovranità territoriali sono per prime le FARC, ha detto Fernández, e perciò occorre prendere coscienza che le crisi di ieri e di oggi non hanno come causa determinati comportamenti dei governi bensì la spregiudicatezza dei gruppi armati la cui principale pericolosità – come abbiamo visto in questi giorni – è quella di mettere uno contro l’altro i nostri popoli”.

 
I prossimi giorni saranno decisivi per capire la sincerità e la serietà di questi gesti di riconciliazione che la comunità internazionale accoglie con sollievo e speranza; gesti che i vescovi latinoamericani avevano auspicato con forza e chiarezza. La stampa latinoamericana ritiene che la “crisi è stata superata, ma non risolta” poiché mancano i passi ufficiali promessi da più parti e, soprattutto perché le radici profonde della questione non sono state rimosse: in concreto, da un lato la sfiducia politica reciproca tra Caracas e Bogotá e, dall’altro, una posizione condivisa da tutti i Paesi riguardo alle FARC. Un primo segnale sul lungo cammino ancora da percorrere, è l’annuncio del governo dell’Ecuador che ha dichiarato di “non essere in grado di ristabilire subito i rapporti diplomatici con la Colombia e di voler attendere nuovi fatti”.

 
Sulla crisi andina ascoltiamo il commento del nostro direttore padre Federico Lombardi:RealAudioMP3


Le gravi tensioni degli ultimi giorni fra Colombia, Ecuador e Venezuela hanno bruscamente richiamato la nostra attenzione sui rischi per la pace nel Continente americano. Rischi seri e concreti, perché si passa dalle parole ai fatti, con l’uso delle armi e i movimenti di truppe. Inoltre, la crisi può allargarsi e diventare regionale, come dimostra la rottura dei rapporti diplomatici fra Nicaragua e Colombia nei giorni scorsi.

 
“Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra” hanno ripetuto instancabilmente i Papi di fronte alle situazioni di conflitto. I conflitti alimentano l’odio, l’irrazionalità dei nazionalismi e scavano barriere e divisioni profonde, provocano morte e assurde sofferenze per moltissimi innocenti, turbano anche le situazioni interne dei popoli, con danno della vita ordinata e dell’esercizio normale dei diritti. Anche se ci rendiamo ben conto della complessità della situazione e degli interessi coinvolti, occorre assolutamente cercare le soluzioni per le vie del negoziato e delle mediazioni diplomatiche. Per fortuna, le ultime notizie aprono prospettive di pacificazione e di speranza. Ma la pace vera è sempre frutto di un lavoro paziente e profondo.

 
Giustamente gli episcopati dei Paesi coinvolti alzano la loro voce in favore della pace, e anche i Presidenti delle Conferenze Episcopali della regione fanno appello concordi all’impegno di tutti, a cominciare dai governanti, per favorire soluzioni ragionevoli e pacifiche delle controversie. C’è da augurarsi che in un continente in cui la tradizione cristiana è antica e profonda, in cui i popoli si considerano giustamente fratelli per i loro molti vincoli queste voci vengano ascoltate. Ad esse si unisce naturalmente la solidarietà spirituale e la preghiera di tutta la Chiesa, che ha sempre la pace fra i popoli fra le sue aspirazioni più alte ed intense.







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