Tregua nella crisi andina: il commento di padre Lombardi
“Formuliamo un appello urgente ai capi di Stato affinché, basandosi sulla antica saggezza
e sul patrimonio cristiano dei suoi popoli, rinuncino alle opzioni violente”. Così,
i presidenti delle 22 Conferenze episcopali dell’America Latina e dei Caraibi nella
dichiarazione resa pubblica ieri, poco prima che nella Repubblica Dominicana durante
la XX Riunione del “Gruppo di Rio”, a sorpresa e con gesti clamorosi, i Presidenti
della Colombia, Venezuela, Ecuador e Nicaragua hanno deciso, almeno per ora, di mettere
fine alla grave crisi che durante una settimana ha fatto temere una guerra. Il servizio
di Luis Badilla:
Mentre
il presidente colombiano Alvaro Uribe chiedeva scusa ai suoi colleghi e riconosceva
di aver violato la sovranità territoriale dell’Ecuador e stringeva le mani a Hugo
Chávez, Rafael Correa e Daniel Ortega, i vescovi latinoamericani formulavano un “appello
urgente ai capi di Stato affinché, senza risparmiare nulla trovassero le soluzioni
che favoriscano la pace e la concordia”. Durante la prima parte della riunione del
Gruppo di Rio, presenti i leader di 17 Paesi, un duro scambio di opinioni, scivolato
a un certo punto anche negli insulti, faceva presagire il peggio.
Fondamentale
nella momentanea composizione della crisi il ruolo politico e diplomatico del presidente
della Repubblica Dominicana, Leonel Fernández, non solo per i suoi accorati appelli
alla pace e al dialogo, ma anche perché ha saputo guidare la discussione con abilità
ed intelligenza mettendo in evidenza i punti deboli delle posizioni dei 4 Paesi. Per
superare la crisi, ha fatto capire Fernández, queste nazioni troveranno nel resto
dell’America Latina ogni tipo di solidarietà e sostegno. Per portare la regione verso
un conflitto armato, ha detto, “non ci potrà essere mai nessuna solidarietà”. D’altra
parte il presidente dominicano ha prospettato, ricevendo l’appoggio di tutti, anche
se con alcune sfumature da parte del Venezuela, che ormai le FARC “sono una questione
regionale e non solo colombiana. A violare le sovranità territoriali sono per prime
le FARC, ha detto Fernández, e perciò occorre prendere coscienza che le crisi di ieri
e di oggi non hanno come causa determinati comportamenti dei governi bensì la spregiudicatezza
dei gruppi armati la cui principale pericolosità – come abbiamo visto in questi giorni
– è quella di mettere uno contro l’altro i nostri popoli”.
I
prossimi giorni saranno decisivi per capire la sincerità e la serietà di questi gesti
di riconciliazione che la comunità internazionale accoglie con sollievo e speranza;
gesti che i vescovi latinoamericani avevano auspicato con forza e chiarezza. La stampa
latinoamericana ritiene che la “crisi è stata superata, ma non risolta” poiché mancano
i passi ufficiali promessi da più parti e, soprattutto perché le radici profonde della
questione non sono state rimosse: in concreto, da un lato la sfiducia politica reciproca
tra Caracas e Bogotá e, dall’altro, una posizione condivisa da tutti i Paesi riguardo
alle FARC. Un primo segnale sul lungo cammino ancora da percorrere, è l’annuncio del
governo dell’Ecuador che ha dichiarato di “non essere in grado di ristabilire subito
i rapporti diplomatici con la Colombia e di voler attendere nuovi fatti”.
Sulla
crisi andina ascoltiamo il commento del nostro direttore padre Federico Lombardi:
Le gravi
tensioni degli ultimi giorni fra Colombia, Ecuador e Venezuela hanno bruscamente richiamato
la nostra attenzione sui rischi per la pace nel Continente americano. Rischi seri
e concreti, perché si passa dalle parole ai fatti, con l’uso delle armi e i movimenti
di truppe. Inoltre, la crisi può allargarsi e diventare regionale, come dimostra
la rottura dei rapporti diplomatici fra Nicaragua e Colombia nei giorni scorsi.
“Nulla
è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra” hanno ripetuto instancabilmente
i Papi di fronte alle situazioni di conflitto. I conflitti alimentano l’odio, l’irrazionalità
dei nazionalismi e scavano barriere e divisioni profonde, provocano morte e assurde
sofferenze per moltissimi innocenti, turbano anche le situazioni interne dei popoli,
con danno della vita ordinata e dell’esercizio normale dei diritti. Anche se ci rendiamo
ben conto della complessità della situazione e degli interessi coinvolti, occorre
assolutamente cercare le soluzioni per le vie del negoziato e delle mediazioni diplomatiche.
Per fortuna, le ultime notizie aprono prospettive di pacificazione e di speranza.
Ma la pace vera è sempre frutto di un lavoro paziente e profondo.
Giustamente
gli episcopati dei Paesi coinvolti alzano la loro voce in favore della pace, e anche
i Presidenti delle Conferenze Episcopali della regione fanno appello concordi all’impegno
di tutti, a cominciare dai governanti, per favorire soluzioni ragionevoli e pacifiche
delle controversie. C’è da augurarsi che in un continente in cui la tradizione cristiana
è antica e profonda, in cui i popoli si considerano giustamente fratelli per i loro
molti vincoli queste voci vengano ascoltate. Ad esse si unisce naturalmente la solidarietà
spirituale e la preghiera di tutta la Chiesa, che ha sempre la pace fra i popoli fra
le sue aspirazioni più alte ed intense.