Il Papa invita a pregare perchè i cristiani perseguitati nel mondo continuino a testimoniare
con coraggio il Vangelo. Intervista con “Aiuto alla Chiesa che soffre”
Una preghiera “perché i cristiani, che in tante parti del mondo e in varie maniere
sono perseguitati a causa del Vangelo”, continuino “a testimoniare con coraggio e
franchezza la Parola di Dio”. Recita così l’intenzione missionaria per il mese di
marzo, proposta ai fedeli dal Papa nell'ambito dell’Apostolato della preghiera. Benedetto
XVI ha più volte denunciato la mancanza di libertà che la Chiesa e i suoi membri patiscono
in molti Paesi, spesso accompagnata da vere e proprie persecuzioni, che causano vittime
e distruzioni di Chiese e strutture ecclesiali. Riascoltiamo, allora, qualche intervento
del Papa in questo servizio di Alessandro De Carolis:
C’è
un momento particolare nel corso dell’anno nel quale la Chiesa tocca con mano, e con
commozione, un aspetto che la connota dalle sue stesse fondamenta: il martirio. Quando
ad ogni fine di dicembre, l’agenzia vaticana Fides pubblica i nomi dei sacerdoti,
delle suore, dei laici uccisi nel mondo, per ogni membro della comunità ecclesiale
- al di là degli eventuali meriti di eccellenza poi riconosciuti agli scomparsi -
si tratta di fermarsi a considerare, accanto ai sacrifici che comporta l’evangelizzazione,
anche quello più alto e doloroso del sacrificio della vita. La Chiesa paga un prezzo
di sangue ogni anno per portare, o rilanciare, il suo annuncio: il sangue di chi è
o sarà consegnato alla memoria collettiva dalla presenza sugli altari e il sangue
di chi forse non riceverà questo speciale onore ma rimarrà - nella non meno importante
cerchia degli affetti - come esempio imitabile di coraggio e di dedizione a Cristo.
Da quei sassi scagliati con ferocia contro il giovane Stefano, fuori le porte di Gerusalemme,
“quanti figli e figlie della Chiesa nel corso dei secoli hanno seguito questo esempio!”,
ha esclamato Benedetto XVI lo scorso 26 dicembre, riflettendo sugli altri “Stefano”
della nostra epoca:
“Non di rado, infatti, anche
oggi giungono notizie da varie parti del mondo di missionari, sacerdoti, vescovi,
religiosi, religiose e fedeli laici perseguitati, imprigionati, torturati, privati
della libertà o impediti nell’esercitarla perché discepoli di Cristo e apostoli del
Vangelo; a volte si soffre e si muore anche per la comunione con la Chiesa universale
e la fedeltà al Papa”. Ognuno di loro, ha proseguito in
quella e in altre occasioni il Papa, rappresenta un seme di quella speranza cristiana
che la Chiesa annuncia nel mondo, ovvero “che l’amore di Cristo è più forte della
violenza e dell’odio”. Chi sacrifica la propria vita per Cristo “attualizza” questa
supremazia. Ma, ha precisato Benedetto XVI all’Angelus del 25 marzo 2007, coloro che
sono morti per Cristo: “Non hanno cercato il martirio, ma
sono stati pronti a dare la vita per rimanere fedeli al Vangelo. Il martirio cristiano
si giustifica soltanto come supremo atto d’amore a Dio ed ai fratelli”. Tra
gli organismi che hanno la specifica vocazione di sostenere le comunità ecclesiali
più in difficoltà, spicca l’attività svolta da “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS),
l’Opera avviata una sessantina d’anni fa da padre Werenfried van Straaten. Al microfono
di Alessandro De Carolis, una dei membri del Segretariato nazionale dell’Opera
in Italia, Elvira Zito, racconta del particolare rapporto instaurato negli
anni con padre Ragheed Aziz Ganni, il sacerdote caldeo ucciso il 3 giugno 2007 a Mossul:
R. -
Padre Ragheed Ganni era, fra l'altro, uno dei più stretti collaboratori del vescovo
[mons. Rahho - ndr] che si trova in questi giorni nelle mani dei rapitori. C’è rimasto
particolarmente nel cuore, perchè rappresenta una testimonianza a noi vicina, in quanto
i benefattori di Aiuto alla Chiesa che soffre - come fanno per altre centinaia di
sacerdoti e suore - avevano messo a disposizione di padre Ganni una borsa di studio
con la quale lui aveva approfondito i suoi studi in materie religiose. Peraltro, manteneva
una corrispondenza regolare con noi, raccontandoci della sua esperienza pastorale
in Iraq, dove era rientrato già da due o tre anni. Lui è stato ucciso in giugno e
noi abbiamo accolto la notizia con grande dolore. E’ diventato un po’ un’immagine
rappresentativa dei tanti studenti che si preparano a Roma, per poi tornare a servizio
nelle loro Chiese.
D. - Nella Chiesa, che è vittima
di ostilità in molte parti del mondo, si consumano dei quotidiani "martirii" molto
spesso sconosciuti al resto della comunità ecclesiale mondiale. Voi che per carisma
aiutate la Chiesa che soffre, con quali esempi di queste persecuzioni siete venuti
in contatto?
R. - Molti sono di una tipologia che
noi definiamo di piccola o grande, ma comunque occulta, persecuzione. Nell’Europa
orientale, in Bielorussia, notizie recenti ci dicono che a sette sacerdoti e a cinque
suore non è stato rinnovato il visto. Si tratta, quindi, di forme occulte di ostruzionismo.
Forme meno occulte e particolarmente gravi si registrano invece in Paesi come il Pakistan,
dove nel Codice penale esiste il reato di blasfemia punito con la pena di morte.
D.
- A cinque anni dalla sua scomparsa, come avvertite la presenza di colui che vi ha
insegnato ad amare la Chiesa che soffre, padre Werenfried?
R.
- L’avvertiamo innanzitutto attraverso i suoi scritti, che sono tuttora una fonte
di ispirazione, soprattutto per realizzare una continuità dell’opera in un metodo
che noi chiamiamo di "fedeltà creativa" al lavoro che padre Werenfried ha svolto dal
1947, quando ha fondato l’opera.