Il cuore di Benedetto XVI è vicino a chi soffre: all’Angelus, il Papa lancia un
appello per la fine delle violenze in Terra Santa, per la liberazione dell’arcivescovo
di Mossul e per la tutela dell’infanzia dopo la drammatica vicenda dei bambini morti
a Gravina
All’Angelus in Piazza San Pietro, nella quarta domenica di Quaresima, Benedetto XVI
ha rivolto tre appelli vibranti: per la liberazione dell’arcivescovo iracheno di Mossul
e per la fine delle violenze in Terra Santa. Quindi, ricordando la drammatica vicenda
dei bimbi Ciccio e Tore, trovati morti a Gravina, ha levato un appello per la tutela
dell’infanzia. Commentando il Vangelo della domenica sul cieco nato guarito da Gesù,
Benedetto XVI ha poi esortato i fedeli a non lasciarsi accecare dal proprio egoismo.
Il servizio di Alessandro Gisotti: Un
Angelus nel segno della vicinanza a chi soffre, a chi piange la perdita dei propri
cari a chi vive in condizioni estreme a causa della guerra. Con profonda tristezza,
ha detto il Papa, seguo la drammatica vicenda del rapimento di mons. Rahho,
arcivescovo di Mossul dei Caldei. Il Papa si è unito all’appello del cardinale
Emmanuel III Delly, affinché il presule, “oltretutto in precarie condizioni di salute,
sia prontamente liberato”:
“Elevo, in pari tempo, la mia preghiera
di suffragio per le anime dei tre giovani uccisi, che erano con lui al momento del
rapimento. Esprimo, inoltre, la mia vicinanza a tutta la Chiesa in Iraq
ed in particolare alla Chiesa caldea, ancora una volta duramente colpite, mentre incoraggio
i Pastori e i fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Si
moltiplichino gli sforzi di quanti reggono le sorti del caro popolo iracheno, affinché
grazie all’impegno e alla saggezza di tutti ritrovi pace e sicurezza,
e non venga ad esso negato il futuro a cui ha diritto”.
Purtroppo,
ha proseguito il Santo Padre, in questi ultimi giorni la tensione tra Israele e la
Striscia di Gaza ha “raggiunto livelli assai gravi”. Ha così rinnovato un pressante
invito alle Autorità, sia israeliane che palestinesi, “perché si fermi questa spirale
di violenza, unilateralmente, senza condizioni”:
“Solo mostrando
un rispetto assoluto per la vita umana, fosse anche quella del nemico, si potrà sperare
di dare un futuro di pace e di convivenza alle giovani generazioni di quei popoli
che, entrambi, hanno le loro radici nella Terra Santa. Invito tutta la Chiesa a elevare
suppliche all’Onnipotente per la pace nella terra di Gesù e a mostrare solidarietà
attenta e fattiva ad entrambe le popolazioni, israeliana e palestinese”.
Il
Papa ha, poi, rivolto il pensiero alla tutela dell’infanzia. Nel corso della settimana,
ha ricordato, la cronaca italiana ha appuntato la sua attenzione sulla triste fine
di due bambini, noti come Ciccio e Tore, trovati morti a Gravina. “Una fine – ha detto
il Santo Padre - che ha profondamente colpito me come tante famiglie e persone”. Parole
corredate da un accorato appello:
“Vorrei cogliere l'occasione per
lanciare un grido a favore dell'infanzia: prendiamoci cura dei piccoli! Bisogna amarli
e aiutarli a crescere. Lo dico ai genitori, ma anche alle istituzioni. Nel lanciare
questo appello, il mio pensiero va all’infanzia di ogni parte del mondo, particolarmente
a quella più indifesa, sfruttata e abusata. Affido ogni bambino al cuore di Cristo,
che ha detto: “Lasciate che i bambini vengano a me!”. Prima
degli appelli, il Papa si era soffermato sul Vangelo della domenica che narra la guarigione
del cieco nato. “Di fronte all’uomo segnato dal limite e dalla sofferenza – ha affermato
- Gesù non pensa ad eventuali colpe, ma alla volontà di Dio che ha creato l’uomo per
la vita”. Al cieco guarito, ha detto ancora, Gesù “rivela che è venuto nel mondo per
operare un giudizio, per separare i ciechi guaribili da quelli che non si lasciano
guarire perché presumono di essere sani”. E qui ha levato una viva esortazione a confessare
le nostre cecità e miopie e, soprattutto, il grande peccato dell’orgoglio:
“E’
forte infatti nell’uomo la tentazione di costruirsi un sistema di sicurezza ideologico:
anche la stessa religione può diventare elemento di questo sistema, come pure l’ateismo,
o il laicismo, ma così facendo si resta accecati dal proprio egoismo. Cari fratelli,
lasciamoci guarire da Gesù, che può e vuole donarci la luce di Dio!” Guarendo
il cieco nato, è la riflessione del Papa, Gesù opera una nuova creazione. Una guarigione,
quella compiuta da Gesù, “che suscita un’accesa discussione perché Gesù la compie
di sabato, trasgredendo, secondo i farisei, il precetto festivo. Alla fine del racconto,
dunque, Gesù e il cieco si ritrovano entrambi “cacciati fuori” dai farisei: uno perché
ha violato la legge e l’altro perché, malgrado la guarigione, rimane marchiato come
peccatore dalla nascita. D’altro canto, anche i discepoli, secondo la mentalità comune
del tempo, “danno per scontato che la sua cecità sia conseguenza di un peccato suo
o dei suoi genitori”. Gesù, invece, è il richiamo del Papa, “respinge questo pregiudizio”,
“facendoci sentire la viva voce di Dio, che è Amore provvido e sapiente”.