Il Papa a Cor Unum: l'attività caritativa della Chiesa testimoni che la vita non
si misura per la sua efficienza perché ha valore sempre e per tutti
L’attività caritativa occupa un posto centrale nella missione della Chiesa ma non
deve essere confusa con la filantropia ed è chiamata a testimoniare che la vita ha
valore sempre e per tutti: è questo, in sintesi, quanto ha detto oggi il Papa ricevendo
i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum in corso a Roma sul
tema “Le qualità umane e spirituali di chi opera nell’attività caritativa della Chiesa”.
Il servizio di Sergio Centofanti.
Il Papa
esprime la sua “riconoscenza a coloro che, a diverso titolo, operano nel settore caritativo,
manifestando con i loro interventi che la Chiesa si rende presente, in maniera concreta”
accanto a quanti sono nella sofferenza:
“Rendiamo
grazie a Dio poiché sono molti i cristiani che spendono tempo ed energie per far giungere
non solo aiuti materiali, ma anche un sostegno di consolazione e di speranza a chi
versa in condizioni difficili, coltivando una costante sollecitudine per il vero bene
dell’uomo. L’attività caritativa occupa così un posto centrale nella missione evangelizzatrice
della Chiesa. Non dobbiamo dimenticare che le opere di carità costituiscono un terreno
privilegiato di incontro anche con persone che ancora non conoscono Cristo o lo conoscono
solo parzialmente”.
Importante – ha proseguito
il Pontefice – è la formazione umana, professionale, spirituale e pastorale di chi
opera negli organismi caritativi ecclesiali. Ed è “indispensabile – ha aggiunto -
la “formazione del cuore”, cioè, una “formazione intima e spirituale che, dall’incontro
con Cristo, fa scaturire quella sensibilità d’animo che sola permette di conoscere
fino in fondo e soddisfare le attese e i bisogni dell’uomo. E’ proprio questo che
rende possibile l’acquisizione degli stessi sentimenti di amore misericordioso che
Dio nutre per ogni essere umano":
“Nei momenti
di sofferenza e di dolore è questo l’approccio necessario. Chi opera nelle molteplici
forme dell’attività caritativa della Chiesa non può, pertanto, contentarsi solo della
prestazione tecnica o di risolvere problemi e difficoltà materiali. L’aiuto che offre
non deve mai ridursi a gesto filantropico, ma deve essere tangibile espressione dell’amore
evangelico. Chi poi presta la sua opera a favore dell’uomo in organismi parrocchiali,
diocesani e internazionali la compie a nome della Chiesa ed è chiamato a lasciar trasparire
nella sua attività un’autentica esperienza di Chiesa”. Si
tratta di una formazione che deve “qualificare sempre meglio gli operatori delle diverse
attività caritative, perché siano anche e soprattutto testimoni di amore evangelico”:
“Tali essi sono se la loro missione non si esaurisce
nell’essere operatori di servizi sociali, ma nell’annuncio del Vangelo della carità.
Seguendo le orme di Cristo, essi sono chiamati ad essere testimoni del valore della
vita, in tutte le sue espressioni, difendendo specialmente la vita dei deboli e dei
malati, seguendo l’esempio della Beata Madre Teresa di Calcutta, che amava e si prendeva
cura dei moribondi, perché la vita non si misura a partire dalla sua efficienza, ma
ha valore sempre e per tutti”.
“Questi
operatori ecclesiali – ha affermato il Papa - sono chiamati ad essere testimoni dell’amore,
del fatto cioè che siamo pienamente uomini e donne quando viviamo protesi verso l’altro;
che nessuno può morire e vivere per se stesso; che la felicità non si trova nella
solitudine di una vita ripiegata su se stessa, ma nel dono di sé. Infine – ha concluso
Benedetto XVI - chi lavora nell’ambito delle attività ecclesiali, deve essere testimone
di Dio, che è pienezza di amore ed invita ad amare”:
“La
fonte di ogni intervento dell’operatore ecclesiale è in Dio, amore creatore e redentore.
Come ho scritto nella Deus caritas est, noi possiamo praticare l’amore perché siamo
stati creati a immagine e somiglianza divina per “’vivere l’amore e in questo modo
far entrare la luce di Dio nel mondo’”.