2008-02-28 15:51:23

Convegno alla Lateranense sul tema "L’uomo, via di Cristo e della Chiesa"


Oggi e domani si tiene a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense il Convegno internazionale sul tema “L’uomo, via di Cristo e della Chiesa”, a cinquant’anni dalla istituzione del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis”. Ma cosa vuol dire in concreto che l’uomo è la via di Cristo e della Chiesa? Giovanni Peduto lo ha chiesto al preside dell’Istituto, don Dario Viganò:RealAudioMP3


R. – In concreto significa proprio assumere, a partire da quella grande Enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, un metodo di riflessione teologico-pastorale, e ciò significa che Dio non salva l’uomo al di sopra dell’uomo, ma salva l’uomo dal di dentro della sua umanità. Quindi, questo significa coniugare da un lato le scienze umane con un approccio scientifico corretto e, dall’altro, non dimenticare un approccio che sia da subito teologico. Quindi, abitare ciò che l’umano marca quotidianamente e trovare, individuare lì dentro modelli adeguati di azione pastorale oggi.

 
D. - La Chiesa è accusata talora di essere poco umana e misericordiosa, vedi il dibattito sull’aborto, l’eutanasia, etc. …

 
R. – Io credo che questa attenzione all’umano, che sempre dobbiamo avere e sempre più dobbiamo coltivare, non significhi dimenticarsi di un evento che per noi è l’evento normativo, che è l’evento dell’Incarnazione. Quindi, certamente noi di fronte alle situazioni, pur nell’accoglienza - ricordando appunto Giovanni XXIII - delle singole biografie delle persone, dobbiamo tener conto che gli eventi vanno giudicati a partire da quell’evento, che è l’evento cristiano dell’Incarnazione, che significa “l’uomo configurato a Cristo”.

 
D. - Come può la Chiesa annunciare la Buona Novella perché possa essere compresa da questa società secolarizzata?

 R. – Innanzitutto, non aver paura di stare dentro questa società, cioè evitare da una parte la sindrome di Giona e, dall’altra parte, la tentazione della fuga. Io credo che la Chiesa debba stare all’interno di questa società, perché non è al di fuori essa stessa dalla costruzione di un sapere che oggi, ad esempio, i media accompagnano. Certo, c’è da star dentro, sapendo che abbiamo un’offerta estroversa, eccedente che è, appunto, l’offerta di una parola, di un annuncio, che ha la propria peculiarità, la propria non omologazione alle parole chiacchierate del quotidiano, che è la parola del Vangelo.

D. - Un bilancio di questi 50 anni dell’Istituto Redemptor Hominis …

 
R. – Certamente uno degli aspetti di conquista scientifica maggiore è proprio quello di aver dato uno statuto teologico alla riflessione pratica, cioè appunto alla teologia pratica. La pastorale non è più ridotta ad un mero sperimentalismo, ad una “praticoneria”, ma è proprio una riflessione teologica sull’agire della Chiesa. Questo penso che sia il guadagno di questi 50 anni. Poi, certo, accanto a questo c’è anche un’apertura, nel senso che inizialmente l’Istituto era rivolto ai sacerdoti e ai religiosi; oggi avendo anche una specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa, diventa un luogo privilegiato, un centro di eccellenza, anche per molti laici provenienti da tutto il mondo.







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