Convegno alla Lateranense sul tema "L’uomo, via di Cristo e della Chiesa"
Oggi e domani si tiene a Roma, presso la Pontificia Università Lateranense il Convegno
internazionale sul tema “L’uomo, via di Cristo e della Chiesa”, a cinquant’anni dalla
istituzione del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis”. Ma cosa vuol dire
in concreto che l’uomo è la via di Cristo e della Chiesa? Giovanni Peduto lo
ha chiesto al preside dell’Istituto, don Dario Viganò:
R. –
In concreto significa proprio assumere, a partire da quella grande Enciclica di Giovanni
Paolo II, Redemptor hominis, un metodo di riflessione teologico-pastorale, e ciò significa
che Dio non salva l’uomo al di sopra dell’uomo, ma salva l’uomo dal di dentro della
sua umanità. Quindi, questo significa coniugare da un lato le scienze umane con un
approccio scientifico corretto e, dall’altro, non dimenticare un approccio che sia
da subito teologico. Quindi, abitare ciò che l’umano marca quotidianamente e trovare,
individuare lì dentro modelli adeguati di azione pastorale oggi.
D.
- La Chiesa è accusata talora di essere poco umana e misericordiosa, vedi il dibattito
sull’aborto, l’eutanasia, etc. …
R. – Io credo che
questa attenzione all’umano, che sempre dobbiamo avere e sempre più dobbiamo coltivare,
non significhi dimenticarsi di un evento che per noi è l’evento normativo, che è l’evento
dell’Incarnazione. Quindi, certamente noi di fronte alle situazioni, pur nell’accoglienza
- ricordando appunto Giovanni XXIII - delle singole biografie delle persone, dobbiamo
tener conto che gli eventi vanno giudicati a partire da quell’evento, che è l’evento
cristiano dell’Incarnazione, che significa “l’uomo configurato a Cristo”.
D.
- Come può la Chiesa annunciare la Buona Novella perché possa essere compresa da questa
società secolarizzata?
R. – Innanzitutto, non aver paura
di stare dentro questa società, cioè evitare da una parte la sindrome di Giona e,
dall’altra parte, la tentazione della fuga. Io credo che la Chiesa debba stare all’interno
di questa società, perché non è al di fuori essa stessa dalla costruzione di un sapere
che oggi, ad esempio, i media accompagnano. Certo, c’è da star dentro, sapendo che
abbiamo un’offerta estroversa, eccedente che è, appunto, l’offerta di una parola,
di un annuncio, che ha la propria peculiarità, la propria non omologazione alle parole
chiacchierate del quotidiano, che è la parola del Vangelo.
D. - Un bilancio
di questi 50 anni dell’Istituto Redemptor Hominis …
R.
– Certamente uno degli aspetti di conquista scientifica maggiore è proprio quello
di aver dato uno statuto teologico alla riflessione pratica, cioè appunto alla teologia
pratica. La pastorale non è più ridotta ad un mero sperimentalismo, ad una “praticoneria”,
ma è proprio una riflessione teologica sull’agire della Chiesa. Questo penso che sia
il guadagno di questi 50 anni. Poi, certo, accanto a questo c’è anche un’apertura,
nel senso che inizialmente l’Istituto era rivolto ai sacerdoti e ai religiosi; oggi
avendo anche una specializzazione in Dottrina sociale della Chiesa, diventa un luogo
privilegiato, un centro di eccellenza, anche per molti laici provenienti da tutto
il mondo.