La gloria di Cristo sta nell’aver amato sino alla fine, ristabilendo la comunione
tra l'uomo e il Dio: così, il cardinale Vanhoye negli esercizi spirituali al Papa
e alla Curia
Sono in corso in Vaticano gli Esercizi spirituali per la Quaresima, con la partecipazione
del Papa. Iniziati, ieri pomeriggio alle ore 18, gli Esercizi si concluderanno sabato
prossimo. Le meditazioni sono proposte quest’anno dal cardinale Albert Vanhoye, già
segretario della Pontificia Commissione Biblica, sul tema: “Accogliamo Cristo nostro
Sommo Sacerdote”, ispirato alla Lettera agli Ebrei. Stamani, il porporato ha tenuto
due meditazioni sui temi “Dio ci ha parlato nel suo Figlio” e “Cristo è Figlio di
Dio e fratello nostro”. Nella settimana degli Esercizi spirituali sono sospese tutte
le udienze, compresa l’udienza generale di mercoledì 13 febbraio. Sulle prime meditazioni
del cardinale Vanhoye, il servizio di Alessandro Gisotti:
(Canti)
Il
Dio della Bibbia non è un Dio muto. E’ un Dio che parla agli uomini per entrare in
comunicazione, in comunione con loro. E’ la riflessione offerta dal cardinale Vanhoye
al Papa e alla Curia nella prima meditazione, tenuta ieri sera nel Palazzo Apostolico.
Il nostro Dio, ha proseguito, vuole stabilire e approfondire dei rapporti personali
con noi. Una volontà di comunicazione che risulta in modo eloquente quando il Signore
parla a Mosé nel roveto ardente:
“E’ molto interessante vedere in che
modo Dio si autodefinisce. Dice a Mosé: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo,
il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Dio non si autodefinisce con la sua onnipotenza,
né con la sua onniscienza, ma si definisce con relazioni personali con alcuni uomini
privi di importanza”.
Dio, ha sottolineato il porporato, avrebbe avuto
tanti motivi per non parlare più al suo popolo, che gli era stato infedele, ma invece
cerca questa relazione. Anche Gesù, ha aggiunto, quando parla alla Samaritana compie
un gesto straordinario, vista l’inimicizia tra giudei e samaritani. Lo fa, perché
questa è la volontà di Dio, una volontà di comunicazione. L’autore della Lettera agli
Ebrei, ha detto il cardinale Vanhoye, ci mostra due periodi nella comunicazione della
Parola di Dio e due specie di mediatori. Nel primo, Dio ha parlato per mezzo dei profeti,
mentre nel secondo periodo, quello escatologico, c’è l’intervento decisivo di Dio
per mezzo del Suo Figlio, il mediatore perfetto. Nelle meditazioni di questa mattina,
dunque, il cardinale Vanhoye si è soffermato sui due aspetti del nome di Cristo, presentati
dalla Lettera agli Ebrei. Egli è Figlio di Dio, ma anche nostro Fratello, perché prende
la forma umile della esistenza umana. Dunque, Gesù si rende solidale con noi:
“Noi
abbiamo più che un avvocato, ma un fratello che intercede presso Dio; un fratello
che ha promesso di annunciarci, dopo la sua glorificazione, il nome del Padre e che
adesso lo annuncia. Un fratello che non si dimentica di noi nella sua gloria, perché
la sua gloria è proprio il frutto stesso della sua solidarietà con noi”.
Il Figlio, ha ribadito, viene definito per mezzo della sua relazione con il
Padre. E’ dunque ben superiore agli angeli che pure sono mediatori tra noi e Dio.
Il cardinale Vanhoye ha quindi rivolto il pensiero alla tappa decisiva della Salvezza,
il mistero pasquale:
“La gloria di Cristo non è la
gloria di un essere ambizioso o soddisfatto delle proprie imprese, né la gloria di
un guerriero che abbia sconfitto i nemici con la forza delle armi, ma è la gloria
dell’amore, la gloria dell’aver amato sino alla fine, di aver ristabilito la comunione
tra noi peccatori e suo Padre”.
Cristo, dunque, è con il Padre, Signore
del cielo e della terra. Cristo glorificato, ha detto il porporato, ha il potere di
porre fine alla vecchia creazione, perché ha inaugurato la nuova creazione per mezzo
della Sua Risurrezione.