Accanto ai bisognosi e ai poveri di Roma: la realtà dell’Ostello Caritas, raccontata
dalla sua responsabile Roberta Molina
Un punto di riferimento per i più bisognosi, una risposta di solidarietà: l’Ostello
Caritas di Roma è soprattutto questo. Nata nel 1987, la struttura di via Marsala,
a pochi metri dalla stazione Termini, ha ospitato in questi anni oltre 27 mila persone.
“Un segno”, ha detto don Guerino Di Tora, direttore della Caritas di Roma, “che allora
fu profetico” e che, ai nostri giorni, “continua ad essere un impegno contro il disagio
urbano di tante persone”. Per ripercorrere questi 20 anni di presenza accanto ai più
deboli, Alessandro Gisotti ha intervistato la responsabile dell’Ostello, Roberta
Molina:
(musica)
R.
- Io cedo che sia stata la grande idea di monsignor Di Liegro, allora direttore della
Caritas: quella di dare un luogo non solo dove poter ospitare e far mangiare tante
persone che in quel periodo sostavano intorno alla stazione Termin. Io credo che don
Luigi volesse ancora una cosa in più da quel centro: che fosse un osservatorio delle
povertà, cioè che si capisse qual era la causa di tanta emarginazione, di tanta povertà
nelle strade di Roma. Ci ripeteva sempre di non stancarci di capire dove andava, dove
si spostava e verso quale direzione andava la povertà; ancora oggi è uno degli obiettivi
principali dell’ostello di Via Marsala, tra l’altro intitolato a lui.
D.
– Qual è il clima che si respira all’ostello tra le persone che vengono accolte e
tra coloro che invece le accolgono?
R. – Credo che
tra le persone che vengono accolte, l’ostello rappresenti un momento in cui potersi
riposare, ma riposare anche in termini psicologici, mentali; è un momento in cui poter
fare un bilancio della propria vita, un momento anche dove poter ricominciare o semplicemente
stare, senza chiedere nulla. Per noi è un gran privilegio stare accanto a queste
persone, starci da tanto tempo, da poco tempo. E' comunque un momento in cui si cambia
la propria vita, cioè l’impressione della vita: l’idea della vita cambia radicalmente,
si danno diverse priorità. Il contatto con queste persone ci ha cambiato e ci continua
a cambiare profondamente.
D. – In questi lunghi anni
di esperienza all’ostello che in sé, appunto, come ci racconta, rappresenta un simbolo
vivente della carità cristiana, c’è un evento, una storia che in qualche modo può
riassumere tutti questi anni?
R. – Sì, una è veramente
dentro di me: mi ha dato sempre l’idea di non dovermi arrendere di fronte a quelle
situazioni che si credono impossibili. Era il caso di una signora che sostava in città;
veniva sempre segnalata al nostro ostello per poter fare qualcosa per lei e all’inizio
non capivamo neanche se fosse uomo o donna. Ce l’abbiamo messa tutta, sono passati
3 anni ma siamo riusciti poi a portarla via dalla strada, a portarla da noi in ostello:
è rimasta da noi in ostello e poi è stata inserita in una casa dia accoglienza. Credo
che questo sia il segno che per queste persone c’è sempre da fare, c’è sempre una
speranza se si vuole. E non è vero che c’è una scelta di vita da parte loro di stare
in strada.