Vita e famiglia in primo piano nella seconda giornata del convegno sulla donna, promosso
dal Pontificio Consiglio per i Laici
“Il nuovo femminismo è la possibilità di testimoniare la profonda alleanza della donna
con la vita”: sono le parole di Olimpia Tarzia, tra le fondatrici del Movimento
per la Vita, intervenuta oggi a Roma al Convegno “Donne e uomo: l’humanum nella
sua interezza”, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Laici. Giunto alla seconda
giornata dei lavori, il congresso celebra il XX anniversario della Lettera apostolica
“Mulieris Dignitatem” di Giovanni Paolo II. Il servizio è di Isabella Piro:
Ogni anno,
nel mondo, si praticano 53 milioni di aborti, pari ai morti della Seconda Guerra mondiale.
E’ il dato drammatico emerso dalla relazione di Olimpia Tarzia. Il 41 per cento della
popolazione mondiale – ha aggiunto la studiosa – vive in Paesi in cui l’aborto è legalizzato
e, citando Madre Teresa di Calcutta, ha sottolineato che non può esserci pace se non
si salva ogni singola vita. Un discorso di ampio respiro, quello della Tarzia, che
si è poi soffermata sull’importanza dell’educazione alla vita e alla famiglia. L’ipertrofia
di affetti – ha detto – porta i giovani di oggi a non credere più nel “per sempre”,
ossia nella famiglia fondata sul matrimonio. Quanto al dibattito tra cultura laica
e cultura cristiana, la Tarzia ha sottolineato che lo Stato laico si basa su principi
democratici e il primo di essi è il diritto alla vita che non ha colore politico.
Sui
rapporti tra uomo e donna, si sono invece soffermati i sociologi Attilio Danese e
Giulia Paola Di Nicola. Senza Dio – hanno affermato – la donna risulterebbe mera immagine
dell’uomo, poiché le trappole dell’uguaglianza portano inevitabilmente all’occultamento
di essa. I due studiosi hanno poi puntato il dito contro la confusione di generi.
Perché – si sono chiesti – parlare di biodiversità solo per la natura e non per l’uomo?
Perché parlare di ecologia dell’ambiente senza far riferimento anche alla persona
umana? Il rischio – hanno concluso – è quello di esaltare le minoranze e beffeggiare
le maggioranze. (Dall’Hotel Carpegna di Roma, Isabella Piro, Radio Vaticana)
Ma
qual è oggi l’attualità della Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II? Isabella
Piro lo ha chiesto ad una delle relatrici del convegno, suor Grazia Loparco,
salesiana e docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia facoltà di Scienze
dell'Educazione “Auxilium” di Roma:
R. – Credo
che sia uno stimolo per una riappropriazione della dignità femminile in una società
che cambia in ordine a tanti aspetti, che vanno dalla comunicazione all’affermazione
del mondo economico, in cui non si vede però che le donne abbiano espresso il meglio
di loro stesse. Questa Lettera, dunque, mi sembra essere un seme che non ha ancora,
forse, espresso pienamente i frutti di quello che annunciava e di quello che è nel
Vangelo, che ha tanto da dirci. Anche in una società cambiata, il Vangelo ha ancora
tanto da esprimere a livello antropologico, a livello sociale, a livello culturale.
D. – Giovanni Paolo II mette in guardia dai rischi
di una emancipazione femminile che si trasformi in maschilismo. Come evitare questo
rischio?
R. – Io rifletto, a volte, su questa “via
femminile” nella Chiesa e penso come sia stata feconda la via della carità: le donne,
secondo me, hanno potuto esprimere il volto materno di Dio sotto il profilo della
carità, della misericordia, della Provvidenza che si concretizza in chi cura, in chi
consola, in chi riesce a fare del bene a chi ha bisogno. Sento però che questa “via
femminile” ha bisogno – forse anche - di essere riconosciuta. Questo genio femminile
ha molto, mi sembra, da dire e da esprimere nella Chiesa e nella società di oggi in
ordine proprio ad una coerenza con una propria vocazione, che non ha bisogno di assimilarsi
ad un maschile nella Chiesa, ma ha invece bisogno di prendere più coscienza del proprio
dono e, dunque, di esprimerlo, perché esprima davvero una reciprocità nella Chiesa,
in cui le componenti femminile e maschile possano essere questo riflesso di Cristo
stesso e della Chiesa.
D. – Indubbiamente ci sono
stati molti passi avanti nella difesa e nella valorizzazione della dignità della donna.
Ci sono, però, alcuni Paesi – pensiamo all’Africa o all’Afghanistan – in cui l’elemento
femminile è sottovalutato e in alcuni casi è sottomesso. Cosa si può fare?
R.
– Io credo che puntare su una antropologia che sia il più possibile vicina a quell’immagine
di Dio, che è stata iscritta nel cuore di ciascuno, lavorare perché ci si possa avvicinare
a questo tipo di concezione di persona umana e riconoscere la donna come persona umana
rappresentino la base per poter poi costruire percorsi un po’ più elaborati anche
dal punto di vista culturale e sociale.
D. – Per
le giovani, come far capire loro l’importanza di essere femminili?
R.
– Le giovani hanno un desiderio di autenticità e di pienezza anche nel modo di vivere
la femminilità, per cui credo che attraverso dei percorsi di accompagnamento oltre
che di proposta di valori alti del femminile sia possibile far percepire come la bellezza
sia – per esempio – una via privilegiata per arrivare a conoscere meglio se stessi
nel progetto di Dio, ma come sia anche necessario ragionare sulla bellezza, su quali
siano i canoni fondamentali su cui si regge e su cui può reggersi una vita. Fare,
dunque, un cammino verso l’interiorità perché poi possa esprimersi in un modo più
pieno. Quando ci sono delle opportunità e quando le donne si impegnano, mostrano di
saper vivere pienamente delle responsabilità, ma quasi lottando contro dei pregiudizi
che non sono solo negli altri, ma che tante volte sono anche dentro loro stesse, dentro
una mentalità dominante.