2008-02-07 14:48:23

Il cardinale Kasper sulla modifica del Papa alla Preghiera per gli Ebrei: per un vero dialogo è necessario il rispetto delle reciproche diversità religiose


Sta suscitando numerose reazioni la modifica della Preghiera per gli Ebrei nella Liturgia del Venerdì Santo, voluta da Benedetto XVI in sostituzione del testo contenuto nel Missale Romanum pubblicato nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII. Uno dei passaggi della preghiera, accolta con sfavore da parte ebraica, riguarda il raggiungimento della salvezza da parte di Israele, una salvezza che passa attraverso il riconoscimento di Gesù Cristo come Salvatore di tutti gli uomini. Per un chiarimento a tale riguardo, Giovanni Peduto si è rivolto al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani nonché - in seno allo stesso dicastero - presidente dell’apposita Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo:RealAudioMP3


R. - La storia con gli Ebrei è complessa e difficile e perciò ci sono sempre sensibilità particolari. La preghiera che esisteva nel rito straordinario era un po’ offensiva, perché parlava della cecità. Il Santo Padre ha voluto togliere questo punto, ma ha voluto anche sottolineare la differenza specifica che esiste tra noi e l’ebraismo. In comune abbiamo molto: Abramo, i Padri, i Patriarchi, Mosé... anche Gesù era un ebreo, anche sua Madre, Maria, era una donna ebrea. Abbiamo molto in comune, tuttavia c’è una differenza specifica: Gesù è il Cristo, vuol dire il Messia, il Figlio di Dio, e questa differenza non si può nascondere. Il Santo Padre ha voluto dire: sì, Gesù Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini, anche degli Ebrei. Questo dice nella sua preghiera. E il Patto, l’Alleanza con il Popolo d’Israele è tuttora valida, perché Gesù Cristo l’ha convalidata attraverso la sua morte. Ma se questa preghiera, ora, parla della conversione degli ebrei, ciò non vuol dire che noi abbiamo l’intenzione di fare “missione”: infatti, il Papa cita la Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani, al capitolo 11, dove Paolo dice che “noi speriamo che, quando la plenitudine dei gentili è entrata nella Chiesa, anche l’intero Israele si salverà”, e questa è una speranza escatologica. Non significa che noi adesso faremo missione: noi dobbiamo dare testimonianza della nostra fede, questo è chiaro. Ma io direi questo: in passato, spesso il linguaggio era di disprezzo, come ha detto Jules Isaac, un ebreo famoso. Ora esiste un rispetto nella diversità. Dobbiamo rispettare a vicenda la diversità che esiste fra noi. Ma ora c’è rispetto, non più disprezzo.

 
D. - Eminenza, da alcune comunità ebraiche questa modifica liturgica è stata considerata un ostacolo al dialogo con la Chiesa. C’è realmente questo pericolo?

 
R. - Un dialogo presuppone sempre che si rispetti la posizione e l’identità dell’altro. Noi rispettiamo l’identità degli Ebrei; loro devono rispettare la nostra, che noi non possiamo nascondere. Il dialogo si basa proprio su questa diversità: su ciò che abbiamo in comune e sulle diversità. E io non vedo questo come un ostacolo, quanto piuttosto come una sfida per un vero dialogo teologico.







All the contents on this site are copyrighted ©.