2008-02-04 15:25:43

Tornano gli attentati kamikaze in Israele: tre morti in un centro commerciale a Dimona


Dopo una pausa di oltre un anno, il terrorismo torna a colpire nel cuore di Israele. Un kamikaze si è fatto esplodere nel centro commerciale di Dimona, nel Neghev, uccidendo almeno due persone e ferendone un’altra decina. Un secondo attentatore suicida è stato ucciso dalle guardie della sicurezza prima che si facesse esplodere. L’atto è stato rivendicato dai Martiri di Al Aqsa, considerati vicini al partito Al Fatah del presidente palestinese, Abu Mazen. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali in Medio Oriente presso l’Università di Firenze:RealAudioMP3

 

 
R. - Questo è un attentato molto particolare, non solo perché statisticamente dopo un periodo così lungo di fortuna qualcosa di molto sfortunato doveva accadere, ma perché pare che sia rivendicato non da Hamas ma dall’ala militante di Al Aqsa, cioè da Fatah, e anche, pare, dal Fronte di liberazione palestinese il cui capo storico è George Abbash, morto pochi giorni fa.

D. - Quanto questo attentato può influire sul già difficile cammino di pace israelo palestinese?

 
R. - Molto, anche perché Dimona è un luogo molto simbolico in Israele. Dimona non è soltanto il luogo dove c’è un reattore nucleare che produce armi atomiche e di Israele, è anche una delle città del "ventre molle" di Israele: è una città di sviluppo, un po’ come Sderot, cioè di immigrati di due diverse ondate, il cui reddito è abbastanza basso e le condizioni economiche non sono un gran che. C’è anche voglia di colpire Israele socialmente nei suoi luoghi più deboli, più indifesi.

 
D. - Secondo lei, a questo punto, quale sarà la risposta di Israele?

 
R. - Sarà una risposta molto difficile, perché una cosa è dichiarare avversario ufficiale Hamas, una cosa è colpire due organizzazioni che sono parte, e grande, di Fatah e dell’OLP intera. E dunque che potrebbero essere collegate in modo più o meno diretto - ma questo è da discutere - con il presidente Abu Mazen.

Cisgiordania
Due attivisti palestinesi, membri del braccio armato della Jihad islamica radicale, sono rimasti uccisi questa mattina nel villaggio di Qabatiya, nei pressi di Jenine, nel nord della Cisgiordania in un conflitto a fuoco con soldati israeliani. Lo riferiscono fonti mediche. Il numero dei morti, dalla ripresa dell'intifada a settembre, sale così a 6.017, in maggioranza palestinesi, secondo una elaborazione dell'AFP.

Iraq
Almeno nove civili iracheni, tra cui un bambino, sono rimasti uccisi sabato scorso nel corso di un’operazione delle forze americane contro estremisti di al Qaida, a sud di Baghdad. Oggi, nel nord dell’Iraq aerei turchi hanno bombardato tre postazioni dei ribelli curdi. Intanto, è stato annunciato che i negoziati per un accordo di amicizia e cooperazione di lungo termine tra Iraq e Stati Uniti cominceranno nella terza settimana di febbraio. La decisione è stata presa ieri sera nel corso di una riunione del Consiglio politico per la sicurezza nazionale presieduta dal presidente Talabani. Il 26 novembre scorso, il presidente americano, George W. Bush, e il premier iracheno, Nuri al Maliki, avevano firmato in videoconferenza un documento con le linee guida dei negoziati, compreso il punto della presenza delle truppe americane in Iraq.

Pakistan
Almeno 5 morti e 25 feriti, di cui dieci in gravi condizioni, per l'attentato suicida avvenuto questa mattina nella città pachistana di Awalpindi. L'attentatore si è lanciato contro un bus sul quale viaggiavano degli studenti della scuola militare di medicina, nell'ora di punta, in una zona tra le più trafficate. Negli ultimi sei mesi, a Rawalpindi ci sono stati ben sette attentati kamikaze e proprio in questa città pakistana il 27 dicembre scorso è rimasta uccisa, in seguito ad un attentato, la leader dell'opposizione, Benazir Bhutto.

Ciad
Migliaia di civili stanno fuggendo dalla capitale del Ciad, N'Djamena, approfittando di una tregua nei combattimenti, dopo che il ribelli - al termine di due giorni di combattimenti - hanno annunciato di essersi ritirati dalla città. Una versione, quest'ultima, diversa da quella fornita dalle truppe governative, che affermano di aver respinto il loro attacco e di averli cacciati dalla capitale. L'esodo da N'Djamena è confermato oggi anche dall'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (UNHCR), che cita funzionari del Camerun. Il ponte che collega la capitale del Ciad alla città camerunense di Kusseri è stato riaperto nella giornata di ieri, consentendo ai civili di fuggire ai combattimenti e di riparare nel Paese vicino. Secondo Helene Caux, portavoce a Ginevra dell'UNHCR, che cita fonti camerunensi, i ciadiani passano il confine ''a migliaia”.

Kenya
Il sudafricano Ciryl Ramaphosa ha deciso di abbandonare i negoziati in corso in Kenya, dove era giunto appena ieri. Accusa il governo di non aver accettato, almeno di fatto, il suo ruolo di mediatore. Lo rende noto un comunicato delle Nazioni Unite che precisa che il capo dei mediatori, l'ex segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, ha dovuto accettare “con riluttanza” la decisione. E' - a parere unanime degli osservatori - un altro durissimo colpo alla trattativa, anche perchè colpisce lo sforzo di mediazione della superpotenza regionale, il Sudafrica, che aveva inviato una personalità di spicco. Si cerca di risolvere la crisi in cui è sprofondato il Paese dopo i contestati risultati elettorali e che ha provocato un migliaio di morti, quasi 300 mila sfollati, distruzioni e violenze senza fine. Il capo dei mediatori è Kofi Annan che venerdì sera - al termine di una giornata molto drammatica - aveva annunciato che le parti avevano concordato una "road map" di pacificazione, che prevedeva entro 7-15 giorni la fine delle violenze, la facilitazione della distribuzione degli aiuti umanitari e una prima intesa politica, mentre un'intesa più globale in tal senso era prevista per fine anno. Ma lo scorso fine settimana è stato tutt'altro che pacifico. Da venerdì notte a ieri sera si sono contati almeno un centinaio di morti, quasi tutti nell'ovest, e centinaia di case bruciate, tra blocchi stradali e violenze, mentre la gente, disperata, continua a fuggire dopo aver perso tutto.

Oggi ultimo atto della crisi di governo in Italia
Il presidente incaricato, Franco Marini, ha ricevuto questa mattina una dopo l’altra le delegazioni di Alleanza nazionale, Forza Italia e Partito Democratico. Nel pomeriggio, i colloqui con i tre presidenti emeriti della Repubblica, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Azeglio Ciampi. Silvio Berlusconi ribadisce la richiesta di elezioni immediate. E Marini va ormai verso la rinuncia al mandato. Il servizio di Giampiero Guadagni:


Sembra dunque chiuso il tentativo di Franco Marini. La posizione di Forza Italia, annunciata da tempo, spinge di fatto il presidente incaricato direttamente al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del Capo dello Stato. Berlusconi, che ha confermato l’appuntamento di oggi nonostante il lutto che lo ha colpito con la morte della madre, ha ribadito che la cosa migliore è andare subito al voto perché serve un governo immediatamente operativo. Per il leader di Forza Italia, sarebbe una dannosa perdita di tempo un governo per il referendum anche perché, afferma, questa legge elettorale può dare ottimi risultati. Il dialogo può aprirsi solo dopo il voto, ha detto Berlusconi, che ha definito una cosa non concreta, un’utopia, l’ipotesi circolata in queste ore, e riportata dal Giornale, secondo la quale il leader di Forza Italia avrebbe prospetatto ieri ai suoi fedelissimi un patto elettorale con il segretario del Partito democratico (PD), Walter Veltroni: patto fondato su alcuni precisi punti, con l’obiettivo di rilanciare l’Italia. E d’altra parte il PD aveva subito espresso netta contrarietà all’ipotesi. Da Marini questa mattina anche il presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, che ha confermato l’urgenza di tornare elle urne, e rilanciato l’idea di una legislatura costituente per mettere mano alle riforme. Proposta analoga a quella concordata nei giorni scorsi da Berlusconi e dal leader UDC, Pierferdinando Casini. Per il quale, peraltro, l’accordo bipartisan dovrebbe valere già durante la campagna elettorale, che, sottolinea, non può essere soltanto una contrapposizione frontale.

Immigrazione
Una piccola imbarcazione con a bordo 31 extracomunitari è stata intercettata stamane intorno alle 7.30 a mezzo miglio da Punta Sottile, dalla motovedetta 878 della Guardia costiera di Lampedusa. Sullo scafo in legno, lungo sette metri, erano stipate 31 persone, di cui 4 donne. L'imbarcazione è stata scortata al porto di Lampedusa e gli extracomunitari sono stati trasferiti al Centro di accoglienza per le procedure di identificazione. Secondo un primo esame, i clandestini sarebbero in buone condizioni di salute.

Gli Stati Uniti alla vigilia del “super martedì” delle Primarie
Alla vigilia del "supermartedì", secondo i sondaggi, si amplia il distacco di Barack Obama, candidato democratico alla Casa Bianca, sulla rivale Hillary Clinton in Stati importanti come California e Missouri, mentre si conferma un testa a testa in New Jersey e grande stacco in Georgia. In campo repubblicano, il senatore dell'Arizona, John McCain, consolida il suo vantaggio su Mitt Romney sia a New York che nel New Jersey, anche se Romney guadagna punti in California, lo Stato più popoloso nella sfida di domani.

Sri Lanka
Ancora un attentato oggi in Sri Lanka, giorno di festeggiamenti per il 60.mo anniversario dell'indipendenza dell'isola. Secondo una fonte militare, una potente esplosione nel nord-est del Paese ha squassato un bus facendo dieci morti e molti feriti. Si tratta del secondo attentato della giornata. Poco prima, un soldato era stato ucciso e tre feriti dall'esplosione avvenuta sul ciglio di una strada nel sud dell'isola. Secondo il Ministero della difesa, i due attentati portano la firma delle Tigri tamil per la liberazione dell'Eelam (LTTE), i ribelli induisti che si battono da tre decenni per l'indipendenza del nord e del nord est del Paese, popolato al 75% da cingalesi buddisti.

Russia
Gli osservatori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) devono monitorare le elezioni presidenziali russe del 2 marzo: lo chiede il candidato comunista, Ghennadi Ziuganov, motivando l'appello con “la necessità di vedere cosa in realtà sta succedendo qui”. Oggi, a Mosca, il presidente della commissione elettorale centrale, Ciurov, sta negoziando con rappresentanti dell'Odihr (il dipartimento dell'OSCE che si occupa del monitoraggio elettorale) le condizioni per gli osservatori dell'organizzazione. Argomento principale del contendere è la durata della missione, che l'Odihr vorrebbe allungare per seguire meglio la campagna. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

 

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 35

 
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