Il documento delle università romane sui “grandi prematuri” e le parole del Papa
all’Angelus rinnovano la speranza di un risveglio delle coscienze sul tema fondamentale
della vita
Torna in primo piano, in Italia, il confronto sul diritto alla vita dei bambini nati
in estrema prematurità. A riaccendere il dibattito, che si accosta a quello più generale
sull’aborto e la difesa della vita sin dal concepimento naturale, è stato un documento
stilato dalle facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università Romane, nei giorni
scorsi. Occasione dell’intervento, un convegno tenutosi all’ospedale “Fatebenefratelli”
all’Isola Tiberina. Nel documento conclusivo, i direttori delle cliniche di ostetricia
e ginecologia di Tor Vergata, "La Sapienza", dell’Università Cattolica e del Campus
Biomedico, sottolineano che “un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato
come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente”. Un documento
che contiene un messaggio importante, come sottolinea il prof. Giuseppe Noia,
docente di medicina prenatale del Policlinico “Gemelli” di Roma, al microfono di Chiara
Calace:
R. –
Il messaggio importante dal punto di vista culturale è questo: che quella che 15 anni
fa veniva considerata una barriera ormai insuperabile, per cui anche per bambini di
circa un chilo si pensava, solo perché ne sopravvivevano il 10 per cento, non ci fosse
nulla da fare, oggi sappiamo invece che non lo è. Infatti questi bambini sopravvivono,
in base anche al peso e all’età gestazionale, fino al 90 per cento. Il grosso problema
però qual è? Se io assisto questo bambino, poi questo bambino sarà un disabile. Ma
il criterio di una futura disabilità non può essere il criterio per cui io lo assisto
o non lo assisto. Molte volte noi nel campo della medicina facciamo degli interventi
che non risolvono la malattia del nostro paziente, eppure li facciamo. Nel momento
in cui il bambino nasce, cambia completamente il suo status giuridico. E come status
giuridico l’individuo è persona umana e noi dobbiamo assisterlo. Quindi, il criterio
selettivo di dire “io assisto solo quelli che hanno percentualmente la possibilità
di non avere disabilità", è assolutamente un criterio che io personalmente non condivido,
ma che penso anche moltissimi colleghi non condividano. Il messaggio che deve venire
è un messaggio di speranza, non un messaggio che si arrende dinanzi a fatti per i
quali in quel momento non si può far nulla. Se avessimo pensato così 15 anni fa, quei
bambini di un chilo oggi non sopravviverebbero. Invece, sappiamo che proprio una medicina
di speranza, che ha continuato senza accanimento a scegliere vie scientifiche e mediche
per curarle, oggi permette a tante famiglie di avere bambini che hanno un’ottima vita.
Il documento delle Università romane viene valutato
positivamente dalla Pontificia Accademia per la Vita. Ecco l’opinione del presidente
dell’istituzione vaticana l’arcivescovo Elio Sgreccia, intervistato da Giancarlo
La Vella:
R. –
Mi sembra un documento eticamente valido e doveroso da parte dei professionisti, che
rispetta il diritto alla vita, che lo conferma in quella casistica speciale. Indubbiamente
quando nasce, o per parto prematuro o sciaguratamente per un’interruzione di gravidanza,
un feto che mostra segni di capacità di vivere, l’obbligo del professionista è di
assisterlo per farlo vivere e questo gli viene conferito da tutte le leggi. Dopo di
che si deve esaminare certo il tipo di assistenza proporzionata e adatta ad ogni singolo
soggetto. La possibilità deve risultare anche dalla concretezza individuale di ogni
feto che nasce, ma questo il documento lo dice. Dopo di che, il discorso della difesa
della vita è più ampio, perché noi vogliamo che questa sia accettata ed accolta fin
dal concepimento. Questo per diritto naturale.
Intanto, ieri, all’Angelus
- in occasione della 30.ma Giornata nazionale per la Vita - promossa dall'episcopato
italiano, il Papa ha ribadito che tutti siamo impegnati ad “accogliere la vita umana
come dono da rispettare” ancor più “quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni
e di cure”. Parole su cui si sofferma la prof.ssaClaudia Navarini,
docente di Bioetica all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" e membro del Consiglio
esecutivo dell’associazione “Scienza e Vita”, intervistata da Alessandro Gisotti:
R. – La
riflessione del Papa e il richiamo al dovere di difendere e tutelare la vita fragile
è sicuramente una dimostrazione di attenzione, di tenerezza, proprio di civiltà. Quindi,
quando il Papa parla di queste tematiche non si riferisce ad una nicchia, cioè quella
dei cattolici o alcuni cattolici che debbono per dovere di appartenenza difendere
la vita umana, ma ad un presupposto indispensabile per la convivenza civile.
D.
– Anche oggi leggiamo su alcuni giornali che le parole del Papa sono un ‘no’ alla
libertà della donna...
R. – E’ un grave fraintendimento
quello di pensare che tutelare la vita debole – in questo caso la vita nascente –
sia una sorta di imposizione o di mancanza di libertà, perché intanto bisogna ribadire,
come tante volte è stato fatto, che la vera libertà per la donna è la libertà di non
abortire e proporre come unica alternativa, di fronte ad una gravidanza difficile
o a dei dubbi sulla salute del feto, l’aborto quasi in modo automatico. Dobbiamo dire,
dunque, che in tante occasioni l’aborto non è una scelta libera, ma anche qualora
lo fosse, anche i casi che non possiamo escludere in cui ci siano davvero donne che
intendono ribadire, rivendicare la loro autodeterminazione attraverso l’aborto, bisogna
capire che cosa succede. La nostra libertà non è assoluta, la nostra libertà non si
spinge ad esempio fino al punto di poter uccidere un innocente.
D.
– La legge 40 sulla procreazione assistita, il dibattito sulla clonazione, sulle cellule
staminali ed embrionali... C’è un confronto molto acceso in Italia e non solo, a volte
ci sono delle sfumature anche di tono ideologico, però possiamo dire anche che c’è
un risveglio delle coscienze ...
R. – Sì, anzi credo
proprio che a partire dal dibattito sul referendum, relativo alla legge 40, sia proprio
ricominciato questo momento di sensibilità e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica,
che sta portando dei risultati importanti. E’ diventato possibile intanto riparlare
di temi che sembravano sepolti, primo fra tutti quello dell’aborto come grave male
per la società e per le singole persone, di capire come la vita del bambino non nato,
cioè la vita dell’embrione sia vita umana. Esiste un valore della vita umana indipendentemente
dalla sua efficienza che va salvaguardato, altrimenti scivoliamo in una visione eugenetica
della vita in cui vale soltanto colui che ha delle qualità di un certo tipo. Chiaramente
è un principio pericolosissimo, che è stato denunciato nella storia, ma che poi in
maniera più o meno sibillina, magari con un volto più benevolo rispetto a quelli dei
grandi totalitarismi, ritorna per vanificare il senso del valore sacro, indisponibile,
della vita umana, che non decidiamo noi.