La miseria dei "Bambini di strada" di molte parti del mondo nelle fotografie di Mauro
Sioli esposte a Roma
Bambini nelle fogne che sniffano colla e che giocano a fare i grandi. Sono solo alcune
immagini raccolte nella mostra: “Bambini di strada” in allestimento a Roma fino al
3 febbraio al Museo dei bambini. Pose scattate, nel corso degli anni e in diversi
Paesi del mondo, dal fotoreporter Mauro Sioli nelle quali si getta una luce
sull’infanzia negata. Il servizio di Benedetta Capelli:
I rumori
della strada come sottofondo ideale per raccontare chi sulla strada vive. Nel museo
dei bambini di Roma si assiste ad un’inattesa armonia tra le foto appese sulle pareti
dell’ex rimessa degli autobus e la via Flaminia con gli inevitabili echi della quotidianità.
Immagini, frutto di un reportage fotografico, che ritraggono la realtà dei bambini
costretti a rovistare tra i rifiuti per mangiare e ad accontentarsi delle fogne per
dormire. Un’esperienza, quella di Mauro Sioli, iniziata nel 1999 in Moldavia, proseguita
in Messico, Colombia, Nicaragua, Romania, Kenya e Bangladesh. Ma qual è l’approccio
usato con i bambini affinché una foto non risulti né un’invadenza né una forzatura.
Mauro Sioli racconta la sua prima esperienza in Moldavia:
"E’
stato un feeling mediato a livello umano. Gli ho detto: 'Ragazzi, faccio il fotografo
e voglio raccontare la vostra giornata, andiamo a mangiare'. Riempivo i tavoli dei
ristoranti moldavi e vi assicuro che era un piacere vederli mangiare ed erano felici.
Una grande difficoltà l’ho incontrata in Kenya, dove anche il bambino che vive in
strada, il ragazzo, ha un’aggressività probabilmente mutuata dalle condizioni di vita,
per cui a lui non importa nulla se fai il fotografo e ti interessa quella realtà".
Un’infanzia
negata dalla povertà e dalla miseria. Ma dove cercare le responsabilità di un bambino
che è in strada? Secondo Sioli, sono proprio le difficili condizioni in cui vivono
che spingono numerosi minori a lasciare il loro contesto familiare, solitamente caratterizzato
dalla violenza:
"Questi bambini non è che vengano abbandonati, ma sono
loro stessi ad andarsene; sono loro che scelgono di uscire da una realtà forte, violenta.
Se ne vanno perché pensano che, nel giardino o nella piazza dove andranno a vivere,
possono trovare altri come loro, che hanno vissuto queste esperienze e dunque per
loro è più facile".
Eppure nulla è perduto: lo si vede dalle stesse
foto. Dietro la pelle sporca e gli stenti in cui vivono, i bambini restano comunque
dei bambini con il sorriso, certo più amaro, con le pose da uomini forti e con un’inattesa
solidarietà tra di loro. Ne è convinto lo stesso fotoreporter:
"Questi
sono bimbi che se tu riesci a relazionare tra loro ti seguono: non sono dei bulli
di strada, nonostante alcuni vadano a commettere reati; sono bambini ipersensibili.
Questa, secondo me, è la cosa drammatica".
Ipersensibilità
che si avverte nei loro sguardi nei quali ancora è possibile percepire un guizzo di
vitalità, segno di speranza per il futuro.