Il cardinale Bertone chiude il convegno romano dell'Opera don Guanella sul tema "L'arte
di accompagnare all'incontro con la morte"
La partecipazione, intensa in termini di numeri, ma anche di emozioni, al meeting
organizzato dall'Opera don Guanella a Roma, sul tema "L'arte di accompagnare all'incontro
con la morte", è la testimonianza che la morte non è un argomento lugubre. Lo è diventato,
nella nostra cultura, che ha espulso la morte dalla vita. "Si vive come se non si
dovesse mai morire", ha detto ieri, nell'omelia della Messa conclusiva, il cardinale
segretario di Stato, Tarcisio Bertone. "Nella nostra società – ha affermato lo psichiatra
Vittorino Andreoli –, non c'è tempo per pensare alla morte, per prepararsi alla morte,
non c'è tempo da dedicare a chi muore". Si muore sempre più soli, lontani da casa,
negli ospedali, spesso di fretta. La morte "si cerca in tanti modi di esorcizzarla
– ha detto ancora il cardinale Bertone – invece, dobbiamo imparare a guardarla con
serenità, e soprattutto dobbiamo prepararci a incontrarla". Perché morire è un momento
della vita, inevitabile, "il momento cui tende ogni vita, fin dalla nascita. Il morente
è un vivente. Con i suoi sentimenti, i suoi bisogni, fisici, psicologici e spirituali.
E la morte richiede tempo, attenzione, rispetto". È questo, in sintesi, il messaggio
conclusivo del meeting. La Basilica di San Giuseppe al Trionfale, voluta ormai cento
anni fa dal fondatore, don Luigi Guanella, è stata sempre piena, nei due giorni di
incontro. Trecento gli iscritti, dall'Italia, dalla Svizzera e perfino dal Perù. Operatori
sanitari, assistenti sociali e spirituali, e persone che semplicemente hanno avuto
un lutto o hanno un parente o un amico malato, e cercano un aiuto su come prepararsi
all'incontro con la morte o come accompagnare la persona cara a quel momento. E ciò
a testimonianza che oggi c'è bisogno di una "educazione alla morte", e anche di una
formazione professionale adeguata all'assistenza dei morenti. Si sono toccati temi
importanti. C'è un diritto a morire dignitosamente, si è detto. Ma, soprattutto c'è
l'altra faccia della medaglia: il diritto-dovere a vivere con dignità, che significa,
innanzitutto, un diritto a non morire soli. Come c'è un diritto a non vivere soli.
(A cura di Emanuela Bambara)