Al centro dell’Assemblea della ROACO la situazione drammatica dei cristiani iracheni
Si è tenuta questa settimana in Vaticano l’Assemblea semestrale della ROACO, la Riunione
delle Opere di Assistenza alle Chiese Orientali. Al centro dei lavori, in particolare,
l’Iraq, argomento che sarà ripreso nella prossima sessione, fissata per il 18 e 19
giugno. Ma cosa è emerso dall’Assemblea dei giorni scorsi? Giovanni Peduto
lo ha chiesto al segretario generale della ROACO, don Leon Lemmens:
R. – Prima
di tutto è emersa una grande premura, un grande senso di solidarietà con le sorti
dei cristiani iracheni. Abbiamo, dunque, dedicato quasi la totalità dei lavori di
questa sessione della ROACO proprio alla questione irachena e soprattutto a come aiutare
di più i cristiani iracheni e, quindi, le loro Chiese.
D. - La minoranza
cristiana è sempre più in difficoltà: abbiamo visto gli ultimi attacchi contro le
chiese. E continua la diaspora. Come aiutare queste comunità?
R. - Come purtroppo
sappiamo, ormai, la maggior parte dei cristiani iracheni vive fuori dall’Iraq: si
parla infatti di circa 60 mila persone che vivono vicino ad Amman, altre 100 mila
e forse anche di più vivono in Siria, altre ancora in Libano e in Turchia. Altri cristiani
iracheni poi, pur vivendo in Iraq, vivono in realtà una condizione di rifugiati nel
Nord del Paese. La situazione generale, dunque, dei cristiani iracheni è veramente
difficilissima. Nel corso dei nostri lavori, a questo riguardo, abbiamo anzitutto
analizzato quello che stiamo già facendo per questa situazione, quello che stanno
facendo le Agenzie della ROACO, e in particolare la Caritas. Abbiamo potuto verificare
che la Caritas è veramente molto impegnata tanto in Giordania quanto in Siria, ma
anche all’interno dell’Iraq, grazie all’aiuto di tante persone e con l’apporto anche
di importanti mezzi finanziari. Abbiamo anche visto come la Pontifical Mission ad
Amman sia molto impegnata e cerchi di andare realmente incontro ai bisogni dei cristiani
iracheni.
D. – Suppongo che non basti quanto già si fa ma occorre molto altro
impegno …
R. - Certo è che rimane ancora molto da fare e rimane molto da fare
anzitutto per tutti coloro che sono rifugiati nei Paesi limitrofi. Si ha bisogno di
aiuti materiali, perché molti di questi cristiani iracheni hanno lasciato il loro
Paese e non hanno più un lavoro e, dunque, non hanno alcun guadagno e poi anche perché
la loro situazione legale è veramente molto precaria. Mancano poi anche le strutture
pastorali che danno la possibilità di avere una vita spirituale per questi cristiani
che hanno bisogno di luoghi dove radunarsi ed incontrarsi. Si pensa, si sogna quindi
di riuscire a creare una parrocchia caldea proprio ad Amman, perché ancora non esiste.
Sarebbe veramente importante riuscire a creare questa parrocchia, perché diventerebbe
per loro un centro, attorno a cui potrebbero collegarsi ed unirsi anche tutte le altre
attività assistenziali. Anche in Siria – come dicevo precedente – la Caritas ha iniziato
ad operare, ma dovrebbe poter riuscire a potenziare gli aiuti materiali, perché anche
qui sono ingenti i bisogni materiali. Anche qui si dovrebbe poter riuscire a mettere
in piede una piccola struttura pastorale, così da poter stare vicino a questa gente.
Il vescovo di Aleppo sta facendo molto proprio a questo riguardo per la zona di Aleppo,
dove ovviamente è lui il vescovo.
D. – Molto delicata è pure la situazione
in Kurdistan …
R. - Per quanto riguarda la situazione in Kurdistan bisogna
dire che è difficile riuscire a farsi un’idea precisa di cosa sta succedendo, ma anche
in Kurdistan si è rivelato un acuto e forte bisogno pastorale, come pure il bisogno
di aiuti materiali.
D. – A parte le analisi, concretamente quali progetti
sono stati delineati?
R. – Avendo tracciato un po’ il panorama della condizione
dei cristiani iracheni, di quello che già si sta facendo, individuando anche quelle
che sono state e che sono le mancanze nell’aiuto, probabilmente ben presto partiranno
due missioni organizzate dalle nostre agenzie che si recheranno ad Amman e in Siria
per contattare persone, enti ed organismi ed individuare cosa esattamente si possa
fare e con chi farlo. Questo, quindi, per riuscire a mettere in piedi dei nuovi progetti
di aiuto concreto tanto sul piano materiali ed assistenziale quanto sul piano pastorale,
perché anche questo aspetto è molto importante. Un’altra missione, invece, si recherà
nell’Iraq del Nord e in Kurdistan per provare a compiere lo stesso lavoro, quindi
prendere contatti e sviluppare nuovi progetti di aiuto. Quello che vorremmo riuscire
a fare è cercare di potenziare la vicinanza della Chiesa universale a questi cristiani
iracheni.
D. - E’ stata affrontata la questione se aprire le frontiere dell’Europa
e dell’America del Nord per accogliere i rifugiati iracheni cristiani bloccati in
Siria e in Giordania?
R. - Questa questione è certamente di importanza massima
per il futuro della Chiesa caldea, ma anche per il futuro stesso della Chiesa siro-ortodossa
e siro-cattolica. Il primo sforzo, certamente, deve essere quello di cercare di far
rimanere nella zona i cristiani iracheni e quindi il nostro impegno deve essere quello
di aiutarli a restare. Ma c’è anche chi pensa, invece, che sia necessario invitare
i governi dell’Europa dell’Est, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Canada
ad essere più disponibili nell’accoglienza di alcune persone, la cui situazione è
veramente drammatica.