Migliaia di palestinesi da Gaza in Egitto. Mubarak: situazione catastrofica
Migliaia di palestinesi della Striscia di Gaza in cerca di cibo, carburante e generi
di prima necessità, continuano a riversarsi in Egitto attraverso la grande breccia
aperta ieri nella barriera d'acciaio di Rafah che chiudeva il confine. Israele, che
ha imposto il blocco di Gaza per i lanci di razzi Qassam sul proprio territorio, accusa
il Cairo di non ottemperare agli obblighi relativi all’isolamento della Striscia.
Il presidente egiziano Hosni Mubarak, da parte sua, ha detto che non permetterà di
"portare alla fame i palestinesi della striscia di Gaza, dove la situazione umanitaria
sta diventando catastrofica" e che "non lesinerà gli sforzi per fare togliere il blocco".
Proprio sulla situazione umanitaria a Gaza, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente
Claudette Habash, presidente di Caritas Gerusalemme, competente per Israele
e tutti i Territori palestinesi:
R. -
La situazione umanitaria a Gaza è molto difficile, fa paura. Al momento è in corso
questo flusso di palestinesi verso l’Egitto, ma dopo la gente rimarrà comunque in
una grande “prigione”, con pochissime cose da mangiare, senza elettricità e nell’impossibilità
di soddisfare i bisogni delle famiglie di Gaza.
D.
– Quali sono le emergenze di oggi?
R. – Sono emergenze
della vita di ogni giorno: oltre al cibo, mancano anche le medicine. E soprattutto
quello che manca di più è la speranza che le cose possano cambiare e subito.
D.
– Abbiamo visto le immagini di decine di migliaia di palestinesi che oltrepassano
il confine con l’Egitto. Cosa li ha spinti?
R. –
Per loro quella verso l’Egitto è comunque un’apertura. Ma sono tante le pressioni
sull’Egitto, affinché questa possibilità termini.
D.
– La situazione drammatica della popolazione palestinese di Gaza - e dei Territori
in generale - può essere strumentalizzata da qualcuno?
R.
– Sì, c’è la possibilità, perché c’è l’estremismo. Per questo è molto importante essere
concreti e dire che la comunità internazionale non deve rimanere zitta, ma deve agire,
deve fare qualcosa.
Proprio sul rischio di infiltrazioni e nuove azioni
dell’estremismo in questa crisi della Striscia di Gaza, Giada Aquilino ha intervistato
Camille Eid, esperto di questioni mediorientali del quotidiano Avvenire:
R. –
C’è il rischio di sfruttamento della crisi, senz’altro. Presto si sentirà parlare
Al Qaeda di tale situazione. Ma la preoccupazione maggiore è che questo quadro di
mancata speranza possa spingere alcuni palestinesi a compiere degli attentati.
D.
– Il riferimento è anche a possibili traffici di armi?
R.
– Più che a traffici di armi, ad una crescita del sentimento integralista di odio,
di rancore, di vendetta.
D. – La speranza allora
da dove deve venire? Dalla comunità internazionale o dalle autorità locali?
R.
– Da ambo le parti. Sappiamo che l’ANP è divisa in due tronconi che non si riconoscono.
Quindi, bisognerebbe arrivare ad un unico esecutivo palestinese, valido sia per la
Cisgiordania sia per la Striscia di Gaza. Bisognerebbe puntare a riconciliare i palestinesi
tra di loro, ma senza penalizzare la popolazione civile.