Dieci anni fa la storica visita di Giovanni Paolo II a Cuba
“Rendo grazie a Dio, Signore della storia e dei nostri destini, che mi ha permesso
di venire in questa terra, definita da Cristoforo Colombo come “la più bella che occhi
umani abbiano mai visto”. Queste le parole, che esattamente dieci anni fa, Giovanni
Paolo II pronunciò all’arrivo all’Avana, da dove iniziò uno storico pellegrinaggio
apostolico. Una visita pastorale che, tra il 21 e il 26 gennaio del 1998, lo portò
in quattro città da un estremo all’altro dell’isola caraibica. Il servizio di Luis
Badilla Morales:
Fra un mese, dal 20 al 26 febbraio, con la presenza
del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ospite della Chiesa cubana e
delle autorità, si aprirà un anno tutto dedicato a ricordare quest’evento. In quei
giorni, come ha detto lo scorso 7 gennaio Benedetto XVI, “il mio venerato predecessore
fu ricevuto con affetto dalle autorità e dalla popolazione”. A Santa Clara, città
dove Giovanni Paolo II celebrò la sua prima Eucaristia in terra cubana, sarà inaugurata
una statua del Pontefice e presso l’Università de La Habana, dove interverrà il cardinale
Bertone così come fece Giovanni Paolo II, sarà scoperta una targa commemorativa. In
quest’occasione, il Papa aveva sottolineato: “L'evangelizzazione della cultura è un'elevazione
della sua «anima religiosa», che le infonde un dinamismo nuovo e potente, il dinamismo
dello Spirito Santo, che la porta alla massima attuazione delle sue potenzialità umane.
In Cristo, ogni cultura si sente profondamente rispettata, valorizzata e amata; poiché
ogni cultura è sempre aperta, nella sua più autentica parte, ai tesori della Redenzione”.
Molti oggi a Cuba ricordano anche quanto il Papa
disse nella sua omelia della Santa Messa sulla Piazza della Rivoluzione, all’Avana,
il 25 gennaio: “I sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli
hanno spesso enfatizzato lo scontro come metodo, poiché contenevano nei propri programmi
i germi dell'opposizione e della disunione”. Questo, aggiungeva ancora Papa Wojtyla,
“ha condizionato profondamente la concezione dell'uomo e i rapporti con gli altri.
Alcuni di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente
individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale”. Giovanni Paolo II
avvertiva che “uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei
propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo,
deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta
ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede”.
Una fede, sottolineava il Papa, che possa essere espressa “negli ambiti della vita
pubblica” e possa “contare su mezzi e spazi sufficienti per offrire alla vita della
Nazione le proprie ricchezze spirituali, morali e civiche”.