La ragione non cessi mai di cercare la verità: l'appello di Benedetto XVI nell'allocuzione
che avrebbe pronunciato nella visita alla Sapienza, poi annullata. Lungo applauso
alla lettura del testo nell'Aula Magna dell'Università
Un appello a non stancarsi di cercare la verità: lo ha lanciato Benedetto XVI nell’allocuzione
che avrebbe pronunciato di persona oggi nel corso della visita all’università romana
della Sapienza, poi annullata per il venir meno dei “presupposti per un’accoglienza
dignitosa e tranquilla” come ha scritto in una lettera al rettore Guarini, il cardinale
segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il testo del Pontefice è stato letto da un professore
nell’Aula Magna della Sapienza durante l’inaugurazione del 705.mo Anno accademico
dell’università fondata da Papa Bonifacio VIII nel 1303, ed è stato applaudito a lungo
da tutti i presenti in piedi. Un allocuzione intensa, un inno alla libertà e alla
responsabilità della ragione che non deve chiudersi al grande messaggio che viene
dalla fede. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Nella
sua allocuzione il Papa esprime la sua gratitudine per l’invito a venire alla Sapienza
che considera “tra le più prestigiose università del mondo” per il suo “grande livello
scientifico e culturale”. La Sapienza – afferma – “era un tempo l’università del
Papa, ma oggi è un’università laica” e, come tale, autonoma “da autorità politiche
ed ecclesiastiche”, “legata esclusivamente all’autorità della verità”: e in questo
senso è un’istituzione necessaria per la società moderna.
Ma
– si chiede Benedetto XVI - “che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?
"Sicuramente
– sottolinea - non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che
può essere solo donata in libertà”. Suo compito invece è “mantenere desta la sensibilità
per la verità”. Cita Socrate: sull’interrogarsi di questo filosofo greco nasce il
primo germe dell’università. E’ la “brama di conoscenza … propria dell’uomo. Egli
vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità”. Così i cristiani
dei primi secoli – ricorda il Papa – hanno riconosciuto se stessi in quell’interrogarsi
socratico, in quella “ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza
della verità intera”. Il Pontefice invita a non perdere “il coraggio della verità”
a non distogliersi “dalla ricerca della verità” ma a restare “in cammino con i grandi
che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro
inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta”.
“La
verità – precisa - non è mai soltanto teorica”. E citando Agostino ricorda che “il
semplice sapere … rende tristi”. Infatti “chi vede e apprende soltanto tutto ciò che
avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere:
la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo - specifica
- è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri?
La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede
cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice
che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa”.
Ricorda
poi “il merito storico di san Tommaso d’Aquino” che “di fronte alla differente risposta
dei Padri a causa del loro contesto storico” mise in luce l’autonomia della filosofia
dalla teologia e quindi “il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga
in base alle sue forze”. Il Papa afferma che “filosofia e teologia devono rapportarsi
tra loro ‘senza confusione e senza separazione’. ‘Senza confusione’ vuol dire che
ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente
una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve
vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia
deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa
stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante
la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero”. Nello stesso
tempo non ci deve essere separazione: “la filosofia non ricomincia ogni volta dal
punto zero” di colui che pensa in modo isolato, al di fuori della storia, ma si inserisce
“nel grande dialogo della sapienza storica” senza “chiudersi davanti a ciò che le
religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità
come indicazione del cammino”. Certo – afferma il Papa – “varie cose dette da teologi
nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono
state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero
che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede
cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola
con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica”.
Il
Papa ricorda con gratitudine le conquiste dell’umanità nell’ambito della conoscenza
e dei diritti umani. “Ma il cammino dell’uomo – ha aggiunto - non può mai dirsi
completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato”.
“Il pericolo del mondo occidentale … è oggi che l’uomo, proprio in considerazione
della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità”
piegato “davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità”.
Cita
il filosofo tedesco Jürgen Habermas che parla in ambito politico della “sensibilità
per la verità” che viene spesso soffocata dagli interessi particolari. Il messaggio
cristiano – afferma - vuole sempre essere “un incoraggiamento verso la verità e
così una forza contro la pressione del potere e degli interessi”. Per questo invita
a non confinare nella sfera privata la fede “col suo messaggio rivolto alla ragione”.
Se infatti “la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande
messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce” e “non
diventa più grande, ma più piccola”. Così, la nostra cultura europea se si preoccupa
solo della sua laicità, “si distacca dalle radici delle quali vive” e “non diventa
più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma”.
Infine
– torna a chiedersi Benedetto XVI: “Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università?”Semplicemente
questo: “Invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del
bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo
la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina
la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro”.