Italia: confermate le dimissioni del ministro della Giustizia Mastella. L'UDEUR appoggerà
dall'esterno il governo Prodi
Dimissioni confermate e accettate dal presidente italiano, Giorgio Napolitano, per
il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Il guardasigilli ieri ha rimesso il
mandato dopo gli arresti domiciliari alla moglie per tentata concussione e in seguito
alla sua iscrizione nel registro degli indagati. Intanto, il leader dell’UDEUR ha
confermato il suo appoggio esterno al governo ma senza più sconti. La politica italiana
guarda però anche al referendum sulla legge elettorale che si svolgerà tra il 15 aprile
e il 15 giugno; ieri il via libera della Corte Costituzionale a tre quesiti referendari.
Il nostro servizio:
“Non
voglio essere un cittadino della casta ma uno comune”. E’ la dichiarazione che mette
la parola fine sui tentativi del premier Prodi di far restare l’ormai ex ministro
della Giustizia Mastella al suo posto. In un’affollata conferenza stampa a Benevento,
il leader dell’UDEUR ha difeso prima la moglie che - ha detto - "dimostrerà la sua
innocenza” e poi il partito dalle accuse di tangenti. Sul riacceso confronto tra magistratura
e politica ha precisato che ci sono giudici seri ma anche GIP “particolari”. Una risposta
a distanza all’ANM, Associazione Nazionale Magistrati, che aveva parlato di “aggressione”
alle toghe. “Ci sono magistrati che possono mandare a casa un governo”: è il duro
affondo del politico centrista che parla anche di una “crisi di sistema”. Intanto,
si apre una nuova grana per il premier Prodi: l’UDEUR ha garantito l’appoggio esterno
all’esecutivo, senza più “compromessi”. Alle 14.30 il presidente del Consiglio riferirà
in aula sulle dimissioni di Mastella e sarà lui ad assumere l’interim al ministero
della Giustizia. Alle 17 audizione poi in Senato. Intanto, il mondo politico cerca
ancora un’intesa sulla riforma elettorale ma la “bozza Bianco” non convince né maggioranza
né opposizione. Un accordo scongiurerebbe il referendum che ieri ha ricevuto il via
libera dalla Corte Costituzionale. La consultazione, che si dovrebbe tenere in una
data decisa dal governo e compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, ruota intorno
ai seguenti quesiti: l’abrogazione delle candidature multiple e attribuzione del premio
di maggioranza, alla Camera e al Senato, non più alla coalizione ma alla lista che
ha ottenuto più voti. Il referendum passerà solo se sarà raggiunto il quorum cioè
il 50 per cento più uno. In caso di fine anticipata della legislatura, la consultazione
sarà rimandata di un anno.
Italia-rifiuti L’emergenza rifiuti
al centro stamani dell’intervento del ministro dell'Attuazione del programma Santagata
che, riferendo in Senato, ha denunciato l’interesse di molti a “mantenere” in Campania
uno stato di crisi. Il ministro ha anche annunciato l’installazione di tre termovalorizzatori
ad Acerra, Santa Maria La Fossa e a Salerno. Infine ieri Palazzo Chigi ha dato il
via libera alla nascita di un’unità di crisi gestita dal Supercommissario per i rifiuti
De Gennaro.
Medio Oriente Sono due i miliziani uccisi in un raid
aereo israeliano nei pressi di Bet Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza. Prosegue,
intanto, l’intenso lancio di razzi Qassam sulla città israeliana di Sderot. Sarebbero
almeno cento, nelle ultime 48 ore, i missili sparati sul territorio ebraico dalle
milizie palestinesi. Una donna è rimasta leggermente ferita. Il premier israeliano
Olmert ha assicurato che la “lotta contro il terrorismo” va avanti soprattutto per
far cessare i lanci di razzi contro il territorio ebraico. Paura infine tra la popolazione
di Tel Aviv dopo un test missilistico da parte dell’aeronautica nel quadro di un programma
di difesa per neutralizzare diversi tipi di minacce: da aerei e razzi a missili balistici.
Si temeva un attacco.
Iran – dossier sul nucleare Il ministro degli
Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, è arrivato oggi a Vienna per incontrare il
direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), Mohamed El Baradei.
Sul tavolo la questione del nucleare in Iran. Il ministro tedesco ha mostrato la sua
determinazione nell’impedire che Teheran sviluppi armi atomiche. Intanto, è arrivato
oggi a Pechino il capo negoziatore nucleare iraniano, Saeed Salili. La Cina ha auspicato
piena collaborazione da parte del governo di Ahmadinejad nel rispetto dei provvedimenti
ONU.
Sri Lanka All’indomani della fine della tregua siglata nel
2002 tra il governo srilankese e i ribelli tamil, l’aeronautica ha bombardato un rifugio
di insorti provocando diverse vittime. Intanto solo oggi si è appreso che la maggior
parte di 27 persone, uccise ieri in un attacco contro un autobus, hanno perso la vita
non a causa di un’esplosione ma per i colpi sparati dai ribelli mentre tentavano la
fuga. In questo clima di rinnovata e forte tensione, qual è la situazione oggi in
Sri Lanka? Risponde il nunzio apostolico a Colombo, l’arcivescovo Mario Zenari,
intervistato da Giada Aquilino:
R. –
Questo conflitto ha distrutto ponti, strade, case, ma ha distrutto in particolare
la comunicazione tra le persone. E’ ben inteso che occorrerebbe anche prestare attenzione
a non fare di tutta l’erba un fascio. Ad esempio, a livello individuale, la gente
non distingue tra un’etnia e un’altra, tra una lingua o un’altra: ci sono esempi di
amicizia e intesa ammirevoli. In generale, però, questo conflitto ha veramente danneggiato
la comunicazione tra gruppi etnici.
D. – La guerra
civile in Sri Lanka dura a fasi alterne dagli anni ’70 e ha già provocato più di 60
mila morti. La popolazione oggi in quali condizioni vive?
R.
– La popolazione che più ha sofferto e più soffre è quella del nord-est, proprio quella
che tre anni fa è stata colpita dallo tsunami e quindi colpita dalla violenza della
natura e dalla più terribile violenza umana. Non vanno poi tralasciati i problemi
degli sfollati, delle persone che sono state costrette ad abbandonare i villaggi di
origine. Vedo, però, anche gente che ha una certa capacità di sopportare e ciò mi
dà fiducia nel futuro.
D. – Continuano da una parte
gli attentati, dall’altra i bombardamenti. Come si potrà arrivare ad una pacificazione
in Sri Lanka?
R. – Le notizie che circolano fanno
pensare che i prossimi mesi saranno alquanto ‘nuvolosi’. L’auspicio della Chiesa e
il messaggio continuo che diffondiamo sono quelli della riconciliazione, della fine
della violenza, della speranza.
Kenya Sarebbero mille le vittime
dell’ondata di violenza in Kenya dopo le elezioni di dicembre che hanno consegnato
il Paese nelle mani del presidente Kibaki. Lo ha rivelato il leader dell’opposizione
Odinga. Intanto, altre due persone sono state uccise dalla polizia in una baraccopoli
di Nairobi, teatro di accesi disordini. Le forze dell’ordine hanno poi ferito un uomo
nella città di Kisumu dove ieri altre due persone avevano perso la vita. Intanto,
secondo il segretario generale del Commonwealth Don McKinnon, le elezioni keniane
non hanno rispettato i canoni internazionali.
Camerun – Nigeria Almeno
dieci persone sono morte al confine fra Camerun e Nigeria negli scontri fra etnie
rivali che si contendono la terra. Secondo testimoni e politici locali, si tratta
della comunità degli Oliti del Camerun e degli Yive nigeriani. Centinaia di persone
sono state costrette a fuggire. Secondo un parlamentare della regione, malgrado le
lotte fra Oliti e Yive per il possesso del territorio durino da decenni, il problema
è stato sempre trascurato dalle autorità camerunesi.
Kosovo Si riaccende
il dibattito sull’indipendenza della regione serba del Kosovo, amministrata dall’ONU,
in occasione del Consiglio di sicurezza. Alla riunione, a porte chiuse, prenderà
parte anche il primo ministro kosovaro, Hashim Thaci. Nella comunità internazionale
solo la Russia è schierata al fianco della Serbia in una strenua opposizione all’indipendenza
kosovara. Tra le preoccupazioni espresse da Belgrado anche l’incertezza per la sorte
dei 100 mila serbi del Kosovo. Stefano Leszczynski ne ha parlato con Roberto
Morozzo Della Rocca, esperto della questione kosovara per la Comunità di Sant’Egidio:
R. –
Resta l’incognita di cosa accadrà in Serbia. Proprio fra pochi giorni avremo le presidenziali
e parlare tanto di indipendenza del Kosovo, se non dichiararla, potrebbe significare
per Belgrado la vittoria dell’estrema destra nazionalista di Nikolic, che è l’uomo
di Shesheli.
D. – Professore, formalmente
il Kosovo è ancora una provincia serba. Ci sono delle basi di diritto internazionale
per provocare un distacco di questa provincia e renderla indipendente rispetto a Belgrado
o sarebbe una decisione di autorità data dalla forza della maggioranza internazionale?
R.
– Io credo che sarebbe una decisione di autorità, dovuta al fatto che la popolazione
di questa regione è al 90 per cento albanese, quindi si vorrebbe riconoscere a quasi
due milioni di albanesi in Kosovo il diritto all’autodeterminazione. E’ una cessione
di autorità che potrebbe provocare contraccolpi in altre aree; è quello che temono,
per esempio, i russi o gli spagnoli per i Paesi Baschi.
D.
– Professore, quando si parla di Kosovo, si parla spesso di indipendenza, si ricordano
i drammi della guerra, si parla molto meno di quelle che sono le minoranze etniche
all’interno della provincia, in particolare le enclave serbe...
R.
– In Kosovo sono rimasti circa 100 mila serbi dei 200 mila che vi erano prima del
’99, gli altri si sono rifugiati in Serbia. Quelli che sono rimasti, in parte sono
nel nord, nella striscia sopra Mitrovica, e lì vivono abbastanza liberi di spostarsi,
di fare attività economiche. Invece, alcune decine di migliaia sono nelle enclave
sparse a macchia di leopardo nel Kosovo centrale, meridionale, dell’Ovest; qui vivono
in maniera piuttosto sacrificata con difficoltà a spostarsi se non hanno scorta, con
difficoltà a lavorare, con molta disoccupazione. Qui mancano le risorse e sono praticamente
una specie protetta dalle forze internazionali.
D.
– Queste minoranze sono per la maggior parte cristiane. Le tensioni all’interno del
Kosovo possono essere riconducibili anche a motivi religiosi o sono prettamente etniche
e politiche?
R. – No, sono prettamente etnico-politiche.
I motivi religiosi sono invocati, ma non è la questione religiosa la contesa per il
Kosovo.
Venezuela Dure accuse del presidente venezuelano Chavez
a Stati Uniti e Colombia. Entrambi i Paesi lo vorrebbero uccidere per poi scatenare
un conflitto tra Bogotà e Caracas. Washington ha respinto le accuse del capo di stato.
Colombia - scontri tra FARC ed ELN Scontri armati nel nord-est della
Colombia fra due fazioni che si oppongono al Governo: le FARC, forze armate rivoluzionarie
di stampo marxista e l’ELN, l’esercito di liberazione nazionale guevarista. Il bilancio
degli ultimi dieci giorni è di 11 civili uccisi e 2 mila persone costrette alla fuga.
Motivo della contesa, sarebbe il controllo di una vasta regione petrolifera nel dipartimento
di Arcua, al confine con il Venezuela. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta
Capelli e Chiara Calace)
Bollettino del Radiogiornale della
Radio Vaticana Anno LII no. 17 E'
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