Il discorso di un uomo libero, alla ricerca della verità che guarda senza chiusure
al pensiero contemporaneo: così, mons. Bruno Forte e il filosofo Vittorio Possenti
sull’allocuzione di Benedetto XVI
Cooperatores Veritatis, “Collaboratori della Verità”: torna subito alla mente
il motto episcopale scelto da Benedetto XVI, alla lettura del discorso che il vescovo
di Roma avrebbe oggi voluto pronunciare nell’ateneo più antico della sua città. Un
intervento che rivendica il ruolo della fede e della ragione nella ricerca, esigente
e affascinante, della verità sull’uomo. Ecco l’opinione dell’arcivescovo di Chieti-Vasto,
il teologo Bruno Forte, intervistato da Alessandro Gisotti:
R.
– Il Papa non fa altro che rivendicare, nel discorso a “La Sapienza”, l’importanza
dell’uso della ragione, di una ragione che si impegna nella questione più alta, quella
della verità. Egli, ad un certo punto, dice che fa parte della natura dell’università
l’essere legata esclusivamente all’autorità della verità. E’ proprio da qui che ne
consegue la sua autonomia, la sua laicità, la sua libertà da autorità politiche ed
ecclesiastiche. E’ il Papa che parla! Una sana laicità fa spazio all’uso della ragione
e, dunque, fa spazio al confronto autentico nella ricerca della verità. E’ il pregiudizio
della chiusura ideologica, è la rinuncia a pensare che chiude a tutto questo.
D.
- Citando il suo amato Sant’Agostino, Papa Benedetto sottolinea che “il semplice sapere,
ci rende tristi”. La verità, avverte, significa più che sapere: ha come scopo la conoscenza
del bene. Una sfida, questa, per i tempi di oggi…
R.
– Certamente la coniugazione di scienza e sapienza in Agostino ha una straordinaria
attualità, perché ci fa capire che l’uomo è sempre l’uomo integrale. Non è soltanto
l’uomo considerato dalla tecnica come funzionale in qualche modo ad essa. E’ invece
l’uomo che, accanto ai bisogni soddisfatti dagli strumenti della tecnica, ha esigenze
spirituali, ha domande ultime, ha un bisogno di amare e di essere amato, ha una fortissima
domanda di speranza. Anche questo è un messaggio di straordinaria importanza in un
mondo come l’università, dove l’articolazione dei saperi e la specializzazione rischia,
appunto, di far perdere l’unità di essi e il dialogo che fra essi deve sempre essere
presente.
D. – In tutto il discorso, che avrebbe
voluto pronunciare a “La Sapienza”, il Papa mette l’accento sul cammino, anche faticoso,
che il cristiano è chiamato a compiere nella ricerca della verità. Si può dire, dunque,
che Benedetto XVI si è scontrato con il dogmatismo dei cosiddetti antidogmatici?
R.
– Sì, ne sono convinto! Il Papa, ad un certo punto nel suo discorso, fa una affermazione
di un’impressionante forza, quando dice che lui stesso non ha la soluzione alla domanda
di come si possano coniugare fino in fondo teologia e filosofia in rapporto al loro
compito, che è quello di essere custodi della sensibilità per la verità. E’ una domanda
per la quale bisogna sempre e di nuovo affaticarsi, egli dice. Mai si può risolvere
definitivamente ed aggiunge letteralmente: “A questo punto neppure io posso offrire
una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda”. Io
ho trovato questo passaggio di una straordinaria libertà. E’ il Papa, ma è anche veramente
il testimone di un pensiero che si interroga, che cerca e che è, quindi, un eccellente
antidogmatico, volendo usare questa formula. Cerca ragioni, domanda ragioni, si pone
egli stesso in ricerca e se la risposta da parte di alcuni è quella di chiudersi a
questa possibilità, allora l’oscurantismo si vede da che parte sta: dalla parte di
chi non vuol pensare.
Il discorso di un uomo libero
alla ricerca della verità, dunque, quello di Benedetto XVI a “La Sapienza”. Il discorso
di un Papa pronto a dialogare, senza chiusure preconcette, con i maggiori interpreti
del pensiero contemporaneo. Una disposizione al dialogo mostrata da Joseph Ratzinger
in modo eloquente lungo tutta la sua vita, da professore prima, da cardinale poi ed
ora da Pontefice. A sottolinearlo, in questa intervista di Alessandro Gisotti,
è il filosofo Vittorio Possenti, docente all’Università di Venezia:
R.
– Benedetto XVI tocca il tema centrale dell’intera storia della filosofia e della
teologia, il rapporto tra queste due forme fondamentali del sapere umano. La ragione
umana ha un riferimento che è la realtà, che è l’essere, e nello stesso tempo aprendosi
alla rivelazione divina, coglie un ampliamento del suo campo. Pensiamo al concetto
di persona umana, che è – possiamo dire – un retaggio della tradizione biblica e in
qualche modo un’invenzione del cristianesimo. Dunque, la collaborazione tra filosofia
e teologia apre anche alla ragione umana dei campi nuovi e aiuta la ragione umana
ad orientarsi nel mistero della realtà.
D. – La società
moderna – avrebbe voluto dire il Papa a “La Sapienza” – ha bisogno di un’università
libera e laica, autenticamente laica. Sono parole che colpiscono ancor più considerando
quanto è successo in questi giorni ...
R. – Colpiscono,
perché vengono spesso equivocate. La libertà dell’Università è qualcosa che rimonta
al Medio Evo, quando le università nacquero proprio dal cuore della Chiesa: fu la
Chiesa stessa, fondamentalmente, a riconoscere l’autonomia delle università, l’autonomia
della ricerca della verità. Questo è un punto che oggi va nuovamente ricordato e mi
pare che il Papa lo faccia in maniera eccellente, ricordando il compito dell’università.
Il compito dell’università, oggi, è alquanto confuso. Non basta che l’università prepari
i giovani per le varie carriere civili e per i compiti della società civile. Il compito
fondamentale dell’università è la ricerca della verità.
D.
– Nel discorso, il Papa cita Agostino e Tommaso d’Aquino, ma anche Socrate e Habermas.
Insomma, il suo sguardo va ben oltre il pensiero cristiano. Come spiega il fatto che
ancora in molti si ostinino a tacciare Joseph Ratzinger di essere chiuso, oscurantista?
E’ solo ideologia, superficialità o crassa insipienza?
R.
– A mio parere, c’è una dose di disinformazione che gioca un ruolo notevole, perché
se consideriamo le due Encicliche di Benedetto XVI – la “Deus caritas est” e la “Spe
salvi” –, il discorso di Regensburg, vediamo che il riferimento alla cultura – chiamiamola
così – profana, è costante. Nel discorso a “La Sapienza” ricorrono i nomi di Rawls
e di Habermas, quindi filosofi contemporanei; nella “Spe salvi”, il riferimento è
spesso a Kant, alla Scuola di Francoforte e ad altri autori della filosofia del Novecento.
Benedetto XVI mostra una conoscenza considerevole della filosofia contemporanea, e
quindi una volontà di dialogo che più di una volta risulta, incomprensibilmente, non
compresa. Questo è un segnale, secondo me, nella cultura italiana, di una certa chiusura
preconcetta di chi non vuole informarsi in merito.