"Cautela e accuratezza" nella fase diocesana dei processi di Beatificazione: lo chiede
l'Istruzione vaticana "Sanctorum Mater". Intervista con il cardinale Saraiva Martins
Un documento vaticano di 46 pagine diretto ai vescovi di tutto il mondo, perché pongano
la massima attenzione e il massimo rigore nell'istruire la prima fase di un processo
di Beatificazione. Si tratta dell'Istruzione Sanctorum Mater, emanata dalla
Congregazione delle Cause dei Santi. Sono i vescovi infatti coloro che, accogliendo
la segnalazione della comunità cristiana circa la "spontanea" fama di santità di un
fedele, ne decidono l'apertura dell'iter canonico, denominato come "fase diocesana"
e destinato poi, in caso di conferme, a giungere a Roma presso il competente dicastero,
per ultimarne la cosiddetta "fase apostolica". L'Istruzione, accogliendo le indicazioni
di Benedetto XVI, ricorda le varie fasi di questo iter, sottolineando l'obbligo di
una seria investigazione, eseguita con "cautela e accuratezza". Giovanni Peduto
ne ha parlato con il prefetto della Congregazione vaticana, il cardinale José Saraiva
Martins:
R. –
Chi inizia una causa non è Roma, ma è il vescovo diocesano che prende l’iniziativa.
Lui ha un compito molto importante e decisivo, perciò ci vogliono degli orientamenti
molto chiari, delle norme ben precise che regolino l’agire del vescovo in questa prima
fase diocesana. La Istruzione vuol proprio ricordare ai vescovi diocesani il loro
compito e come debbano svolgerlo e l’ampiezza di questo compito. In fondo, questa
Istruzione non fa che ricordare le norme molto concrete già stabilite nel 1983. L’azione
del vescovo si riferisce innanzitutto alle virtù eroiche del candidato agli altari,
e poi a tutti gli elementi relativi alla persona di quel candidato: che riguarda la
sua spiritualità, la sua santità ... Poi, riguarda anche i casi di un eventuale presunto
miracolo attribuibile a quel candidato agli altari, nonché il martirio: se si tratta
di fedeli, di fratelli nella fede che hanno dato la vita per il Vangelo.
D.
– Eminenza, in concreto cosa cambia rispetto al passato con questa Istruzione nelle
Cause di canonizzazione?
R. – Non cambia sostanzialmente
niente, perché come ho detto poc’anzi, abbiamo voluto ricordare ai vescovi il loro
compito, insistendo naturalmente su un rigore sempre maggiore nello svolgimento di
questo compito, perché si tratta di una cosa molto seria per la vita della Chiesa,
e alla Chiesa interessa soltanto la verità storica, come ricordava non tanto tempo
fa Benedetto XVI parlando alla plenaria che abbiamo avuto l’anno scorso.
D.
– Nell’Istruzione si dice che la fama di santità dev’essere spontanea e non artificiosamente
procurata ...
R. – Ecco: l’Istruzione sottolinea
proprio con molta forza queste verità. Dev’essere spontanea, nata spontaneamente,
cioè dalla comunità, dai fedeli e questo è estremamente importante. Perché se non
c’è questa fama di santità spontanea tra i fedeli nella comunità, il vescovo non può
– nemmeno volendo – dare inizio ad una causa di beatificazione. Cioè, sono i fedeli
e la comunità che devono dire al vescovo: “Secondo noi, quel fedele, quel servo di
Dio è veramente santo, per noi!”. Oggi si discute molto sul ruolo dei laici nella
Chiesa. Ebbene: qui abbiamo un caso estremamente importante, dal punto di vista ecclesiale,
in cui i laici, la comunità sono quelli che fanno il primo passo. Il vescovo, dopo,
non fa che verificare il fondamento di quella fama di santità e cercare di comprovarla
per poi trasmetterla a Roma. Dunque, questo è molto importante. I primi protagonisti
di ogni processo di beatificazione sono sempre i fedeli.
D.
– E a proposito di laici santi, abbiamo avuto proprio di recente la proclamazione
delle virtù eroiche di Antonietta Meo – Nennolina – morta ad appena sei anni e mezzo.
Potrebbe essere una delle più giovani candidate agli altari: questo dimostra che la
santità è per tutti ...
R. – La santità è per tutti!
Il caso di Nennolina, certamente è una ulteriore conferma di questa verità posta fortemente
in rilievo dal Concilio Vaticano II. La santità, io dico spesso, non è ad uso di alcuni,
ma un dovere stringente di tutti i battezzati. La santità laicale, in particolare,
è estremamente importante e questa era una verità che Giovanni Paolo II ha cercato
sempre di mettere in luce. Questo mi fa ricordare anche Giorgio La Pira che diceva:
“La santità nel secolo XX – possiamo dire nel secolo XXI – ha una caratteristica:
la laicità”. Lui diceva molto bene che magari tra 50 anni vedremo delle persone che
oggi incontriamo per la strada: professori universitari, politici, economisti, eccetera.
Dunque, il caso Nennolina è un’altra conferma della santità laicale.