Bush a Ramallah parla di pace tra israeliani e palestinesi entro il 2008
E’ possibile la pace tra israeliani e palestinesi entro l’anno: lo afferma Bush, al
suo secondo giorno in Medio Oriente. Dopo i colloqui ieri in Israele, oggi gli incontri
con la parte palestinese: in mattinata prima la tappa a Ramallah e poi l’arrivo a
Betlemme, tra imponenti misure di sicurezza. Il servizio di Fausta Speranza:
Presto uno
Stato palestinese e con contiguità territoriale: Bush dice di ritenerlo possibile,
così come è fiducioso del fatto che un accordo di pace fra israeliani e palestinesi
verrà firmato entro la fine del suo mandato, che scade nel gennaio del 2009. Il presidente
USA parla in Cisgiordania, a Ramallah, al termine dell’incontro con il presidente
palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas). Di Israele dice che “non deve compiere azioni
che minino gli sforzi dei servizi palestinesi per ristabilire la sicurezza nei territori
palestinesi”. E poi afferma che “sia il premier israeliano Olmert (incontrato ieri)
sia il presidente palestinese Abu Mazen comprendono l'importanza di due Stati democratici
che vivano in pace l'uno a fianco dell'altro”. Parla di Gaza, dove si è scatenata
la protesta contro la visita del presidente USA: centinaia i manifestanti, colpita
una scuola americana che però era già chiusa. Bush dice che la situazione nella Striscia
di Gaza è un problema complesso e la scelta per i palestinesi è tra una situazione
di caos o a favore di forze che operano per la pace. Da parte sua, il presidente Abu
Mazen parla di visita storica, aprendo la conferenza stampa congiunta. Assicura che
il suo governo sta adottando passi concreti verso l'istituzione di un regime democratico,
in vista della costituzione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme
est per capitale. Sempre Abu Mazen dice che Hamas si è reso colpevole di una “sovversione”
quando ha espugnato con la forza la Striscia di Gaza; che deve riconoscere la legittimità
internazionale e l’iniziativa di pace araba, per poi precisare che l'ANP mantiene
comunque rapporti con la popolazione palestinese di Gaza cui destina il 58 per cento
del proprio bilancio. Ieri il presidente statunitense ha avuto prolungati colloqui
con il premier israeliano Ehud Olmert, con i ministri Livni (Esteri) e Barak (Difesa)
nonché con il capo dello Stato Shimon Peres. Anche ieri ha confermato il proprio impegno
a ricercare in tutti i modi una soluzione del conflitto israelo-palestinese prima
della fine del suo mandato.
Dunque Bush, dopo aver parlato ieri a Gerusalemme
col premier israeliano Olmert dell’annosa questione degli insediamenti, oggi a Ramallah
ha affrontato con Abu Mazen (Mahmoud Abbas) il nodo sicurezza - sottolineando come
le forze regolari palestinesi stiano migliorando - ed ha criticato Hamas. Ma a questo
punto quale linea politica si andrà delineando? Giada Aquilino lo ha chiesto
ad Eric Salerno, corrispondente dal Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:
R. – Dalle
posizioni di Abbas, di Olmert e di Bush, credo di capire che in questi mesi si tenterà
di mantenere un livello basso di tensione: non risponderanno cioè, se non sarà proprio
necessario, alle provocazioni di Hamas ed eviteranno di andare ad uno scontro su quei
temi che devono essere negoziati. In merito alla questione della sicurezza, Bush -
anche nella conferenza stampa a Ramallah - ha detto che bisogna fornire ad Abbas il
modo di dire ai palestinesi: “avete la possibilità a questo punto di arrivare ad un
accordo con Israele; ora tocca a voi scegliere tra l’accordo e lo scontro eterno con
Israele”. A questo punto probabilmente – almeno secondo il capo della Casa Bianca
– la popolazione dirà basta a Hamas ed andrà ad un accordo. Hamas dovrà, quindi, in
questi mesi allontanarsi dalla posizione sempre più dura nei confronti di Israele
e nei confronti di Abbas e rientrare nei ranghi per avere poi - forse - un ruolo politico
nel futuro Stato palestinese.
D. – Sia Abu Mazen,
sia il capo della Casa Bianca parlano della firma di un Trattato e della nascita di
uno Stato palestinese entro la fine del mandato di Bush, a gennaio 2009. È possibile?
R.
– Parlano della firma di un Trattato e, quindi, di un accordo di pace che significherebbe
fissare tutte le clausole necessarie affinché questo Stato possa nascere. Dopo di
che non è improbabile che si debba andare ad un referendum o ad elezioni sia in Israele
sia presso i palestinesi, per decidere l’accettazione o non di tale intesa da parte
dei rispettivi popoli. Inoltre dovranno essere, però, attuate tutte quelle promesse
che riguardano soprattutto la sicurezza e gli insediamenti, in modo da permettere
la creazione del nuovo Stato.
D. – In questi giorni
ancora l’Iran in primo piano, definito da Bush “minaccia alla pace mondiale”. Ma,
per i Paesi arabi, Teheran che ruolo svolge oggi?
R.
– I Paesi arabi non vogliono andare ad uno scontro con Teheran, ma vogliono che l’Iran
sia in qualche modo controllato. Credo che oggi ci sia una tendenza anche tra i grandi
Paesi arabi – e quindi Egitto ed Arabia Saudita – a trovare un accordo con la Repubblica
islamica. Questo significa – come stanno spiegando da tempo agli americani – che è
inutile andare ad uno scontro diretto con Teheran, perché più si opta per questa soluzione
e più si rafforza il presidente iraniano, Ahmadinejad. Se, invece, si comincia a parlare,
si possono abbassare le tensioni e lo scontro diventa dialogo. Ed è chiaro che all’interno
dell’Iran potranno prevalere le forze più moderate.