Il Papa incontra il Corpo diplomatico: appello per la fine dei conflitti. Dopo la
moratoria sulla pena di morte Benedetto XVI chiede un dibattito sul carattere sacro
della vita umana
Le crisi in Africa e la violenta instabilità del Medio Oriente, dalla Palestina al
Pakistan, che ieri è tornata a minacciare anche i cristiani in Iraq. La solidarietà
verso i Paesi devastati dalle catastrofi naturali e una nuova difesa della radici
cristiane europee. L’aspirazione del mondo alla pace e la necessità che i Paesi lavorino
di concerto per aumentare la sicurezza. La moratoria sulla pena di morte e l'invito
ad un dibattito pubblico sul carattere sacro della vita. Con un discorso tradizionalmente
allargato sull’attualità del pianeta - di denuncia dei drammi che lo attraversano
e di speranza per i passi avanti compiuti a varie latitudini - Benedetto XVI ha accolto
questa mattina in udienza gli ambasciatori dei 176 Stati accreditati presso la Santa
Sede, affiancati dai rappresentanti di altri organismi sovranazionali facenti parte
del Corpo diplomatico, nella consueta udienza di inizio d’anno, tenutasi nella Sala
Regia del Palazzo Apostolico. La cronaca nel servizio di Alessandro De Carolis:
Otto
cartelle - tra le più attese fra i pronunciamenti annuali di un Pontefice - per passare
in rassegna ciò che il mondo vive, patisce, costruisce, spera. Otto cartelle per ammettere
con sofferto realismo che, otto anni dopo l’inizio del Duemila, la “sicurezza e la
stabilità del mondo permangono fragili”. Ma anche per definire - con echi che rimandano
all’enciclica Spe Salvi - un’“arte della speranza” il lavorio svolto dalla diplomazia,
perché essa, secondo il Papa, “vive della speranza e cerca di discernerne persino
i segnali più tenui”. Entrato poco dopo le undici fra gli applausi degli ambasciatori
schierati in due file nella Sala Regia in Vaticano, Benedetto XVI ha dapprima ascoltato
in piedi l’indirizzo di saluto rivoltogli da Giovanni Galassi, ambasciatore della
Repubblica di San Marino e decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa
Sede. Quindi, per i primi sette paragrafi del suo intervento, ha “fotografato” la
situazione dei vari continenti, intrecciandola con i suoi appelli, le sua preoccupazioni,
i suoi auspici.
A farsi largo, quasi, con gli strascichi
dolorosi della cronaca internazionale più recente sono stati i fatti in arrivo dall’Iraq.
Dopo le autobomba scagliate ieri contro alcune chiese di Baghdad e di Mossul, così
si è espresso Benedetto XVI:
"Actuellement, les
attentats terroristes, les menaces et les violences continuent, ..."
“Attualmente
gli attentati terroristici, le minacce e le violenze continuano, in particolare contro
la comunità cristiana, e le notizie giunte ieri confermano la nostra preoccupazione;
è evidente che resta da tagliare il nodo di alcune questioni politiche. In tale quadro,
una riforma costituzionale appropriata dovrà salvaguardare i diritti delle minoranze”. Se
gli attentati di ieri richiamano una realtà che, più avanti, il Papa stigmatizzerà
parlando della libertà religiosa “spesso compromessa” in molte parti del mondo, la
parola “riconciliazione”, declinata nei suoi vari aspetti, è stata la chiave di lettura
di quasi tutte le osservazioni del Pontefice, ritenuta di “emergenza” non solo per
l’Iraq. Nel complesso scacchiere mediorientale, Benedetto XVI l’ha invocata, anzitutto
e di nuovo, per il conflitto israelo-palestinese, da poco riconsiderato alla Conferenza
di Annapolis:
"Je fais appel, une fois encore,
aux Israeliens et aux Palestiniens..." “Faccio appello,
ancora una volta, ad Israeliani e Palestinesi, affinché concentrino le proprie energie
per l'applicazione degli impegni presi in quella occasione e non fermino il processo
felicemente rimesso in moto. Invito inoltre la comunità internazionale a sostenere
questi due popoli con convinzione e comprensione per le sofferenze e i timori di entrambi”.
E
sempre guardando al Medio e all’Estremo Oriente, riconciliazione e dialogo il Papa
ha chiesto per il Libano, per il Pakistan “duramente colpito - ha detto - dalla violenza
negli ultimi mesi”. Per l’Afghanistan, nel quale “alla violenza si aggiungono - ha
rilevato - altri gravi problemi sociali, come la produzione di droga”. Per lo Sri
Lanka e per il Myanmar, perché in questo caso i contrasti si sciolgano in una stagione
di confronto fondata sul rispetto dei diritti umani. L’apertura del discorso, tuttavia,
è stata dedicata dal Pontefice all’America Latina. Dieci anni fa, Giovanni Paolo II
si recava a Cuba e quell’evento - che L’Avana si appresta a celebrare - è stato messo
da Benedetto XVI come leit-motiv di “speranza” per il tutto il continente, peraltro
ricordato dal Papa nelle tragedie naturali che l’hanno più volte colpito nel 2007:
dal Messico, all’America centrale al Perù.
Il paragrafo
sei ha riguardato l’Africa. Forti le parole con le quali Benedetto XVI ha rammentato
la “profonda sofferenza” del Darfur, nel quale la speranza appare - ha detto - “quasi
vinta dal sinistro corteo di fame e morte”. Soffermandosi sulle violenze della Somalia
e il processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo, ancora la cronaca più
“calda”, in arrivo dal Kenya, ha spinto il Pontefice a questo appello:
"...j'invite
tous les habitants, en particulier les responsables politiques, ..."
“Invito
tutti gli abitanti, e in particolare i responsabili politici, a ricercare mediante
il dialogo una soluzione pacifica, fondata sulla giustizia e sulla fraternità. La
Chiesa cattolica non è indifferente ai gemiti di dolore che si innalzano da queste
regioni. Ella fa proprie le richieste di aiuto dei rifugiati e degli sfollati, e si
impegna per favorire la riconciliazione, la giustizia e la pace". L’Africa
del 2008 è anche quella dell’Etiopia, che ricorda il suo terzo millennio cristiano.
Un evento al quale Benedetto XVI ha fatto seguire il suo sguardo all’Europa, che registra
miglioramenti in Kosovo e chiede attenzione per la crisi di Cipro ma soprattutto prova
a riscrivere i suoi principi comunitari col Trattato di Lisbona, fra i quali il Papa
invoca maggiore rispetto per l’eredità del Vangelo:
"Cette
étape relance le processus de construction de la "maison Europe"..."
“Tale
tappa rilancia il processo di costruzione della ‘casa Europa’, che ‘sarà per tutti
gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale
e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni’
e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane”.
Alla
fine del suo giro d’orizzonte, Benedetto XVI è passato a riflettere sui valori assoluti
della pace, della libertà e della giustizia:
"...l'ordre
et le droit en sont des éléments qui la garantissent...."
“L'ordine
e il diritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace
efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale,
dato dal Creatore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dall'orizzonte
dell'uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia; esso rappresenta
un appello pressante alla pace”.
In quest’ottica,
il dialogo interculturale e religioso contribuiscono con forza alla costruzione del
rispetto reciproco e della comprensione, come dimostra il recente e apprezzato scambio
di missive con i 138 leader musulmani. Tuttavia, ha affermato il Papa:
"Pour
etre vrai, ce dialogue doit etre clair, evitant relativisme et syncrétisme, ..."
“Per
esser vero, questo dialogo deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi,
ma animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione
e di fraternità”.
La Chiesa, ha proseguito Benedetto
XVI, non dimentica mai che qualsiasi valore o diritto ha per centro l’uomo e la sua
inviolabile dignità. E dunque la sacralità della sua vita, troppo spesso ancora -
ha deplorato il Pontefice - oggetto di “attacchi” prima e dopo la nascita:
"Je
voudrais rappeler, avec tant de chercheurs et de scientifiques, ..."
“Vorrei
richiamare, insieme con tanti ricercatori e scienziati, che le nuove frontiere della
bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma che esigono piuttosto
un uso morale della scienza. D'altra parte (…) mi rallegro che lo scorso 18 dicembre
l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando
gli Stati ad istituire una moratoria sull'applicazione della pena di morte ed io faccio
voti che tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita
umana”. E invocando, come sempre in queste circostanze,
tutele per “l'integrità della famiglia, fondata sul matrimonio”, il Papa ha esortato
i Paesi ricchi ad aiutare quelli meno abbienti nell’accesso alle risorse naturali
e soprattutto ha invitato a uno “sforzo congiunto” in materia di sicurezza. Sforzo,
ha soggiunto, che impedirebbe “l'accesso dei terroristi alle armi di distruzione di
massa” e che “rinforzerebbe, senza alcun dubbio, il regime di non proliferazione nucleare
e lo renderebbe più efficace”. E se poco prima, Benedetto XVI aveva chiesto un impegno
diplomatico “senza sosta” per dirimere la vertenza sul nucleare iraniano, qui il Papa
ha salutato con piacere l'accordo per lo smantellamento del programma di armamento
nucleare in Corea del Nord: “Incoraggio - ha asserito - l'adozione di misure appropriate
per la riduzione degli armamenti di tipo classico, e per affrontare il problema umanitario
posto dalle munizioni a grappolo”.
Il pensiero conclusivo
è stato per la diplomazia, “arte della speranza”, che non si stanca di ricercare anche
le più labili possibilità di dialogo:
"La diplomatie
doit donner de l'espérance. La celebration de Noël vient chaque..."
“La
diplomazia deve dare speranza. La celebrazione del Natale viene ogni anno a ricordarci
che, quando Dio si è fatto piccolo bambino, la Speranza è venuta ad abitare nel mondo,
al cuore della famiglia umana. Questa certezza diventa oggi preghiera: che Dio apra
il cuore di quanti governano la famiglia dei popoli alla Speranza che mai delude”.