La Chiesa vuole mettersi al servizio dell'umanità e assolve appieno "la sua missione
solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore": cosi' il Papa durante
la Santa Messa nella solennità dell'Epifania
Nella solennità dell’epifania del Signore, Benedetto XVI ha presieduto questa mattina
la celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana per celebrare “Cristo, Luce del
mondo, e la sua manifestazione alle genti”. L’umanità – ha osservato il Santo Padre
- è “lacerata'' da ''spinte di divisione e sopraffazione” e la Chiesa, "santa e composta
di peccatori", resta "impegnata" a fare in modo che “Cristo sia accolto nella storia”.
L’avvenimento evangelico che ricordiamo nell’Epifania – ha poi detto il Papa davanti
a cardinali, vescovi, membri del corpo diplomatico e fedeli– ci rimanda “alle origini
della storia del popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo”. Gesù Cristo – ha aggiunto
- è venuto a portare a compimento l’alleanza e la “benedizione di Abramo si è estesa
a tutti i popoli, alla Chiesa universale”. Ecco il testo integrale:
Cari fratelli
e sorelle,
celebriamo oggi Cristo, Luce del mondo,
e la sua manifestazione alle genti. Nel giorno di Natale il messaggio della liturgia
suonava così: “Hodie descendit lux magna super terram – Oggi una grande luce discende
sulla terra” (Messale Romano). A Betlemme, questa “grande luce” apparve a un piccolo
nucleo di persone, un minuscolo “resto d’Israele”: la Vergine Maria, il suo sposo
Giuseppe e alcuni pastori. Una luce umile, come è nello stile del vero Dio; una fiammella
accesa nella notte: un fragile neonato, che vagisce nel silenzio del mondo… Ma accompagnava
quella nascita nascosta e sconosciuta l’inno di lode delle schiere celesti, che cantavano
gloria e pace (cfr Lc 2,13-14).
Così quella luce,
pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la
nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorgere di una stella, visibile
da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “alcuni Magi”, giunti da oriente a
Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr Mt 2,1-2). Ancora
una volta si richiamano e si rispondono il cielo e la terra, il cosmo e la storia.
Le antiche profezie trovano riscontro nel linguaggio degli astri. “Una stella spunta
da Giacobbe / e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente
pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse
perché – gli rivelò Dio – “quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio di Aquileia,
nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mette in relazione Balaam con i Magi: “Quegli
profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede”.
E aggiunge un’osservazione importante: “La stella era scorta da tutti, ma non tutti
ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per
tutti, ma non tutti lo hanno accolto” (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella
prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso
esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi
a tutti i popoli della terra.
L’avvenimento evangelico
che ricordiamo nell’Epifania – la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme – ci
rimanda così alle origini della storia del popolo di Dio, cioè alla chiamata di Abramo.
Siamo al capitolo 12° del Libro della Genesi. I primi 11 capitoli sono come grandi
affreschi che rispondono ad alcune domande fondamentali dell’umanità: qual è l’origine
dell’universo e del genere umano? Da dove viene il male? Perché ci sono diverse lingue
e civiltà? Tra i racconti iniziali della Bibbia, compare una prima “alleanza”, stabilita
da Dio con Noè, dopo il diluvio. Si tratta di un’alleanza universale, che riguarda
tutta l’umanità: il nuovo patto con il clan di Noè è insieme patto con “ogni carne”
– per usare il linguaggio biblico – cioè con ogni essere vivente. Questa alleanza,
che possiamo definire pre-istorica e che rinnova la benedizione dei progenitori Adamo
ed Eva, è fondamentale perché rimane come base di tutto il disegno che Dio poi realizzerà
nella storia, ad iniziare da Abramo. Ma prima della chiamata di Abramo si trova un
altro grande affresco molto importante per capire il senso dell’Epifania: quello della
torre di Babele. Afferma il testo sacro che in origine “tutta la terra aveva una sola
lingua e le stesse parole” (Gn 11,1). Poi gli uomini dissero: “Venite, costruiamoci
una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci
su tutta la terra” (Gn 11,4). La conseguenza di questa colpa di orgoglio, analoga
a quella di Adamo ed Eva, fu la confusione delle lingue e la dispersione dell’umanità
su tutta la terra (cfr Gn 11,7-8). Questo significa “Babele”, e fu una sorta di maledizione,
simile alla cacciata dal paradiso terrestre.
A questo
punto inizia la storia della benedizione, con la chiamata di Abramo: incomincia il
grande disegno di Dio per fare dell’umanità una famiglia, mediante l’alleanza con
un popolo nuovo, da Lui scelto perché sia una benedizione in mezzo a tutte le genti
(cfr Gn 12,1-3). Questo piano divino è tuttora in corso: risale a circa quattromila
anni fa e ha avuto il suo momento culminante nel mistero di Cristo duemila anni or
sono; da allora sono iniziati gli “ultimi tempi”, nel senso che il disegno è stato
pienamente rivelato e realizzato in Cristo, ma chiede di essere accolto dalla storia,
che rimane sempre storia di fedeltà da parte di Dio e purtroppo anche di infedeltà
da parte di noi uomini. La stessa Chiesa, depositaria della benedizione, è santa e
composta di peccatori, segnata dalla tensione tra il “già” e il “non ancora”. Nella
pienezza dei tempi Gesù Cristo è venuto a portare a compimento l’alleanza: Lui stesso,
vero Dio e vero uomo, è il Sacramento della fedeltà di Dio al suo disegno di salvezza
per l’intera umanità.
L’arrivo dei Magi dall’Oriente
a Betlemme, per adorare il neonato Messia, è il segno della manifestazione del Re
universale ai popoli e a tutti gli uomini che cercano la verità. E’ l’inizio di un
movimento opposto a quello di Babele: dalla confusione alla comprensione, dalla dispersione
alla riconciliazione. Scorgiamo un legame tra l’Epifania e la Pentecoste: se il Natale
di Cristo, che è il Capo, è anche il Natale della Chiesa, suo corpo, noi vediamo nei
Magi i popoli che si aggregano al resto d’Israele, preannunciando il grande segno
della “Chiesa poliglotta”, attuato dallo Spirito Santo cinquanta giorni dopo la Pasqua.
E’ sempre affascinante allargare lo sguardo sulla storia della salvezza in tutta la
sua ampiezza, per ammirare la bellezza del disegno di Dio, proiezione nella storia
del suo essere Comunione trinitaria, Amore fedele e tenace, che mai viene meno alla
sua alleanza di generazione in generazione. E’ questo il “mistero” di cui parla san
Paolo nelle sue Lettere, anche nel brano della Lettera agli Efesini poc’anzi proclamato:
l’Apostolo afferma che tale mistero “gli è stato fatto conoscere per rivelazione”
(Ef 3,2).
Questo “mistero” costituisce la speranza
della storia, è il mistero di una benedizione che vuole raggiungere tutti i popoli
e tutti gli esseri umani perché possano vivere come fratelli e sorelle, figli dell’unico
Padre. Sta qui la verità sull’uomo e sull’intera sua storia. Tale disegno, preannunciato
dai profeti, è stato rivelato in Gesù Cristo, ed ora si sta realizzando mediante la
Chiesa. Ma esso è contrastato da spinte di divisione e di sopraffazione, che lacerano
l’umanità a causa del peccato e del conflitto di egoismi. La Chiesa è al servizio
di questo “mistero” di benedizione per l’intera umanità. Essa assolve appieno la sua
missione solo quando riflette in se stessa la luce di Cristo Signore, e così è di
aiuto ai popoli del mondo sulla via della pace e dell’autentico progresso. Infatti
resta sempre valida la parola di Dio rivelata per mezzo del profeta Isaia: “… le tenebre
ricoprono la terra, / nebbia fitta avvolge le nazioni; / ma su di te risplende il
Signore, la sua gloria appare su di te” (Is 60,2). Quanto il profeta annuncia a Gerusalemme,
si compie nella Chiesa di Cristo: “Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo
splendore del tuo sorgere” (Is 60,3). E il ritornello del Salmo 66 ripete: “Ti lodino
i popoli, Dio, / ti lodino i popoli tutti” (vv. 4 e 6). È vero: le genti possono conoscere
la via della salvezza se sul popolo di Dio risplende la luce del volto del Signore.
Risalta anche qui come la benedizione di Dio per Israele sia destinata a rinnovarsi
e ricadere su tutti i popoli. Questa verità permane immutata nella Chiesa, con una
sola, ma sostanziale novità: che in Gesù Cristo Dio ha mostrato il suo volto, “la
bontà di Dio e il suo amore per gli uomini si sono manifestati” (Tt 3,4), come scrive
san Paolo a Tito.
Con Gesù Cristo la benedizione
di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele
che accoglie nel suo seno l’intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta vero quanto
diceva il profeta: “nebbia fitta avvolge le nazioni”. Non si può dire infatti che
la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la
supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle
materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano
di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bisogno di una speranza più grande, che
permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di
molti. “Questa grande speranza – ho scritto nell’Enciclica Spe salvi – può essere
solo Dio … non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano” (n. 31):
il Dio che si è manifestato nel Bambino di Betlemme e nel Crocifisso-Risorto. Se c’è
una grande speranza, si può perseverare nella sobrietà. Se manca la vera speranza,
si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi
e il mondo. La moderazione non è allora solo una regola ascetica, ma anche una via
di salvezza per l’umanità. È ormai evidente che soltanto adottando uno stile di vita
sobrio, accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze,
sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile. Per questo c’è
bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio.
Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che
seppero inginocchiarsi davanti ad un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi. Abbiamo
tutti bisogno di questo coraggio, ancorato a una salda speranza. Ce lo ottenga Maria,
accompagnandoci nel nostro pellegrinaggio terreno con la sua materna protezione. Amen!