2008-01-02 15:14:54

La Slovenia è presidente di turno dell'UE


Dal primo gennaio, presidente di turno dell'Unione Europea è la Slovenia, piccolo Paese ex comunista, che ha proclamato la propria indipendenza solo nel 1991 ed è entrata nella Ue nel 2004. La Slovenia - due milioni di abitanti - è la prima, tra i nuovi entrati dell'Europa dell'est, ad accogliere la sfida diplomatica del semestre di presidenza europea. Sul significato di questa presidenza, in particolare per l’area dell’est e dei Balcani, Fausta Speranza ha intervistato Luigi Geninazzi, inviato del quotidiano Avvenire:RealAudioMP3

 
R. – Significa qualcosa che va oltre il livello simbolico credo. La Slovenia è il Paese dell’est entrato nell’Unione Europea insieme ad altri nel 2004 che ha fatto senz’altro più strada, che ha fatto passi molto veloci. E’ già entrata nell’euro e si è integrata, quindi, anche a livello economico e finanziario nell’Unione. Io credo che la presidenza slovena abbia un grande significato per i Paesi dell’Est, ma soprattutto per i Balcani. Ovviamente tutti notiamo la coincidenza della presidenza di Lubiana con l’aggrovigliarsi della situazione tra Serbia e Kosovo.

 
D. – I Balcani: nel messaggio Urbi et Orbi il Papa li ha nominati tra le terre martoriate, tra le terre difficili, di crisi. Qual è, secondo te, la speranza per i Balcani?

R. – Che davvero si incominci ad entrare in una logica molto difficile, purtroppo, ma necessaria, di perdono reciproco, e non solo per il Kosovo, ma per tutta la situazione dei Balcani. Pensiamo ancora alle tensioni che esistono in Bosnia, ai problemi che covano sotto la cenere in Macedonia. Credo che bisogna pensare a tutte queste situazioni, che soprattutto possono essere risolte solo in un’ottica che non sia solo economica o politica. Purtroppo, sappiamo, quando si tratta di popoli, quanto sia difficile, ancora più che per gli individui, introdurre il principio del perdono reciproco, quello che Giovanni Paolo II ha sempre detto: “Perdonare e chiedere perdono”. E la situazione che esiste fra Belgrado e Pristina lo testimonia: c’è un muro contro muro in cui ognuno rivendica le sue ragioni, denuncia i torti degli altri, ma non riesce a capire i propri torti, a fare un passo in avanti verso una riconciliazione effettiva.  







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