2007-12-31 15:43:56

In Kenya, violenti scontri dopo la conferma alle presidenziali del capo dello Stato Kibaki


Situazione difficile in Kenya, dopo le elezioni presidenziali, che hanno visto la vittoria di Mway Kibaki con un margine di appena 230.000 voti sul candidato dell’opposizione Raila Odinga, dato in vantaggio dai sondaggi e dagli stessi risultati preliminari. Proprio i sostenitori di Odinga hanno inscenato proteste sfociate in violenze. Ed il bilancio, purtroppo ancora non definitivo, è pesante: oltre 120 morti. In mattinata, fonti locali riferivano di un possibile arresto di Odinga, notizia poi smentita. Il leader dell’opposizione ha invece indetto un grande raduno di protesta per il 3 gennaio a Nairobi. Salvatore Sabatino ha parlato della difficile situazione in Kenya con Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera: RealAudioMP3


 R. – La situazione si fa molto critica. Per ora le manifestazioni, e quindi gli spari, i morti, le violenze, le barricate, sono nei quartieri periferici, nelle baraccopoli. Se, però, la rabbia popolare si farà ancora più intensa, c’è il rischio che le violenze possano coinvolgere i quartieri più centrali, non solo le baraccopoli. Il problema è che ci sono molti turisti bloccati sulla costa, a Mombasa e a Malindi, in particolare, e c’è il rischio che questi non possano tornare. Si parla anche della possibilità di decretare lo stato di emergenza, cosa che sembra in questo momento abbastanza facile e probabile.

 
D. – Il Kenya è stato considerato sempre uno dei Paesi africani più stabili. Che cosa è cambiato? Come si è giunti a questa situazione?

 
R. – Si è giunti a questa situazione, perchè il problema della democrazia è che bisogna accettare i risultati, quando sono contro di noi, non quando sono a favore. E’ molto facile dire: “Io ho vinto e accetto le regole democratiche”. Il problema è dire: “Io ho perso e accetto le regole democratiche”. E questo non è accaduto. I primi risultati hanno decretato la scomparsa del partito del presidente e, a questo punto, non se lo aspettavano. Probabilmente, sono corsi ai ripari, barando sui risultati.

 
D. – Quali ricadute può avere questa instabilità sugli altri Paesi vicini?

 
R. – Ci sono dei Paesi che stanno difficoltosamente accettando la democrazia. Parlo, per esempio dell’Etiopia, del Ruanda, dello stesso Congo. Ovviamente, se il Kenya precipita nel caos c’è il rischio che blocchi anche i processi democratici in tutti questi Paesi.

Pakistan-Bhutto
In Pakistan è scontro politico sul possibile rinvio delle elezioni legislative di gennaio. La commissione elettorale si pronuncerà solo domani, dopo aver accolto le relazioni degli organi provinciali sulla situazione nelle diverse province del Paese, in cui si segnalano diversi seggi dati alle fiamme a seguito degli incidenti scoppiati per l’omicidio della Bhutto. Il nostro servizio: RealAudioMP3


La commissione elettorale pakistana ha annunciato che non deciderà prima domani in merito al rinvio delle elezioni in programma per l’8 gennaio prossimo. L’autorità competente sta attendendo, infatti, le relazioni sulle condizioni dei seggi dalle commissioni provinciali. Tuttavia, secondo alcune fonti governative, prende sempre più corpo l’ipotesi di uno slittamento del voto legislativo di almeno quattro settimane. Una misura che non dispiace alla Lega Musulmana, Il partito del presidente Musharraf che, temendo un forte calo dei consensi, ha sospeso la campagna elettorale, ritenendo inevitabile un rinvio di almeno due mesi. Oggi anche Sharif, l'altro leader dell'opposizione del Paese, ha detto di ritenere accettabile un "leggero rinvio" delle legislative. Non condivide invece la necessità di spostare la data delle elezioni il Partito del popolo Pakistano, la formazione politica di Benazir Bhutto, che ieri ha nominato presidente del movimento il figlio dell’ex primo ministro, a seguito della lettura da parte del giovane diciannovenne del testamento politico della madre.
 
Afghanistan
Ennesima giornata di violenze in Afghanistan, dove sedici agenti della polizia locale sono rimasti uccisi nell'attacco compiuto dai talebani a un check point nella provincia di Kandahar. Fonti governative hanno precisato che l'attacco è iniziato sabato scorso e che non è ancora chiaro quanti guerriglieri integralisti siano morti nello scontro a fuoco. Intanto, questa mattina è arrivato nel Paese asiatico re Juan Carlos per una visita a sorpresa al contingente spagnolo.
 
Iraq
Il giorno seguente il primo anniversario dell’esecuzione di Saddam Hussein, ricordato solo da pochi nostalgici, in Iraq sono ripresi gli attacchi della guerriglia integralista. Un attentatore suicida si è fatto esplodere a Baghdad uccidendo 4 persone. Altre 11 vittime si sono registrate in un altro attacco kamikaze, compiuto con un'autobomba a nord della capitale. Infine, due soldati iracheni sono rimasti uccisi e altri 4 feriti per l'esplosione di un ordigno al passaggio della loro pattuglia al confine con l'Iran.

Medio Oriente
Non sono ancora rientrati a Gaza i 2000 pellegrini palestinesi provenienti da La Mecca, bloccati da ieri nel Sinai settentrionale. Il loro rientro nei Territori è ostacolato dalla richiesta israeliana all'Egitto che quei pellegrini siano sottoposti a controlli perché, secondo i servizi israeliani, fra di loro ci sono esponenti di Hamas legati al terrorismo. Dal canto loro, i pellegrini si rifiutano di passare dal valico di Kerem Shalom, dove sarebbero perquisiti, e insistono per attraversare quello di Rafah. Intanto sul fronte politico si registra il monito di Hamas a non attentare alla vita di Haniyeh, leader del movimento integralista che controlla la Striscia di Gaza.

Nepal-monarchia
Storica svolta politica in Nepal. Il Parlamento ad interim di Katmandu, che vede la presenza anche degli ex ribelli maoisti, tre giorni fa ha abolito la monarchia con 270 voti su 329. Dall’aprile del 2008, il Paese diverrà una repubblica federale democratica, in coincidenza con le elezioni generali e l'insediamento dell'Assemblea costituente. La monarchia governava il Paese dal 1769 e il passaggio istituzionale è frutto dell'accordo tra la maggioranza e i ribelli maoisti, che erano usciti dal governo a settembre, chiedendo le dimissioni del contestato re Gianendra. Ma che cosa cambia ora in Nepal? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luca Lo Presti, presidente di "Pangea Onlus", che opera in Nepal con numerosi progetti umanitari:RealAudioMP3


R. – Il Paese deve ora arrivare ad applicare questa decisione. E’ il Parlamento che adesso deve avere la forza di arrivare ad una situazione applicativa di una costituzione che si deve andare a formare. Al momento tra la gente c’è grande indifferenza, secondo me per paura e diffidenza rispetto a quanto può accadere un domani. La Fondazione Pangea, che lavora in Nepal da cinque anni, mantiene il suo atteggiamento di prudenza e di rispetto per quelli che sono i diritti delle persone, in particolare i diritti delle donne, che speriamo migliorino con questa decisione. Perché, per esempio, in Nepal accade che le donne non siano censite al momento della nascita.

 
D. – E’ pensabile che con le nuove istituzioni termini l’isolamento internazionale, che ha caratterizzato finora il Nepal?

 
R. – E’ assolutamente auspicabile. La formazione di uno Stato democratico deve portare poi ad un’apertura verso gli Stati limitrofi. E’ interessante che tutto questo avvenga in un momento politico, durante il quale, per esempio, i due grandi confinanti del Nepal, la Cina e l’India, stanno facendo manovre militari congiunte. Fa tutto parte di uno scenario internazionale, che ci deve portare a riflettere su quanto accade in quell’area. Speriamo che questo porti a migliorare innanzitutto la vita della popolazione in Nepal.

 
D. – Il passaggio della ex guerriglia dalla rivolta armata al dialogo politico potrà essere definitiva, secondo te?

 
R. – E’ auspicabile, perché proprio in tutti questi lunghi anni di guerra civile, la situazione della popolazione di quelle zone – la Fondazione Pangea ne è testimone, perché lavora nelle zone maoiste – è veramente complicata e difficile. C’è una situazione dei diritti umani precaria. E’ importante che questo termini, perché tra i maoisti e il governo si crei un’alleanza e si crei soprattutto nel Paese una democrazia.


Cina-miniera
In Cina, 19 minatori sono morti nell’esplosione verificatasi sabato sera in un impianto estrattivo situato nella provincia Helonhjang, nel nord del Paese. La miniera è risultata illegale e il proprietario e un rappresentante legale sono stati arrestati .

Ostaggi-FARC
Per ragioni sconosciute, che tutti si augurano siano soltanto logistiche, ieri, allo scadere delle ore 18 (mezzanotte in Europa) Clara Rojas, suo figlio di tre anni Emmanuel e Consuelo González de Perdomo, ostaggi delle FARC, non sono state liberate e consegnate alla Croce Rossa internazionale come stabilito nell'accordo umanitario negoziato tra le Forze armate rivoluzionarie della Colombia e il presidente venezuelano Hugo Chávez. Il servizio di Luis Badilla:

La stampa, i negoziatori e i garanti dell’operazione non si sbilanciano e parlano di “rinvio”. Alcuni assicurano che “è questione di ore”, altri pensano che “si dovrà attendere qualche giorno” e, nel frattempo, il governo colombiano del presidente Uribe proroga altre 72 ore i permessi per sorvolare lo spazio aereo degli elicotteri che dovrebbero portare gli ostaggi liberati dalla selva a Villavicencio, capitale del Dipartimento di Meta, oppure direttamente in territorio venezuelano. Barbara Hintermann, coordinatrice del Comitato internazionale della Croce Rossa ha chiesto alle FARC “di non prolungare ancora il tempo della liberazione risparmiando così nuove sofferenze agli ostaggi e ai loro parenti”. Ramón Rodríguez Chacín, ex ministro venezuelano, e negoziatore capo per conto di Chávez assicura intanto “che la terza fase dell’operazione è prossima” e al contrario di quanto aveva detto domenica afferma che “si attendono le coordinate precise e definitive”. Il ministro degli Esteri di Bogotá, Nicolás Maduro, ha confermato che “il rinvio potrebbe essere di due o tre giorni” e al tempo stesso ha ribadito, smentendo commenti della stampa latinoamericana su l’esistenza di disaccordi tra Caracas e Bogotá; “anzi – ha aggiunto – si lavora a contatto stretto e ambedue le parti fanno di tutto per accelerare il successo dell’operazione”. Ad ogni modo agli operatori della stampa internazionale, e sono centinaia quelli presenti sul posto, nonché agli analisti non sfugge l’esistenza di una difficoltà non piccola: il governo colombiano non ha mai voluto sospendere le operazioni militari di contrasto alla guerriglia nella zona garantendo “nessuna ostilità e immunità totale” nel cosiddetto “Punto X”, cioè solo nel piccolo spazio territoriale ove dovrebbero operare gli elicotteri adibiti al prelievo degli ostaggi. In queste si presume che questa sia la causa del rinvio. C’è chi afferma che taluni vorrebbero che gli ostaggi fossero lasciati in un punto dove prelevarli senza che nessuno possa entrare in contatto con gli emissari delle FARC, ma la guerriglia rifiuta poiché, per motivi propagandistici, vorrebbe un contatto con i delegati e una sorta di conferenza stampa congiunta nella selva, e la garanzia di un “corridoio” per il ritiro dei suoi uomini dal posto. Qualunque sia la verità una sola cosa è certa: il rinvio della liberazione di queste due donne e un bambino, dopo anni di sofferenze, non fa altro che prolungarle disumanamente.


Somalia
In Somalia si è rialzato il livello delle scontro tra le forze filo governative, appoggiate dalle truppe etiopiche, e i miliziani integralisti islamici. Almeno 12 persone sono morte nelle ultime 24 ore a Mogadiscio, dove gli insorti hanno colpito persino la sede dell’Unione Africana. Mogadiscio è teatro di continui attacchi da quando, tra il dicembre 2006 e il gennaio 2007, gli integralisti delle Corti islamiche hanno perso il controllo di diverse regioni. Prosegue poi la delicata trattativa per portare alla liberazione di due volontarie di Medici Senza Frontiere, un'argentina e una spagnola, rapite nel Paese africano. L'Argentina ha chiesto all'Italia di mediare per la liberazione delle due donne. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

 

 Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 365

 
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