Contro la criminalità organizzata serve una maggiore presenza delle istituzioni
sul territorio: l’accorato appello della Chiesa calabrese
In questo tempo forte per tutti i cristiani, la Chiesa calabrese lancia un nuovo appello
di fronte alla persistente emergenza criminalità nella regione e alla conseguente
difficile situazione sociale. Il servizio è di Fabio Colagrande:
“Carabinieri,
Polizia e Guardia di Finanza fanno il possibile per arginare lo straripante potere
della ‘ndrangheta, ma lo Stato in Calabria resta latitante”. La dura denuncia di mons.Domenico Tarcisio Cortese, vescovo emerito di Mileto-Nicotera-Tropea,
è arrivata nei giorni scorsi a Roma in occasione della presentazione degli Atti di
un convegno della Caritas calabrese, tenutosi nel gennaio scorso a Falerna. Mons.
Cortese ha chiesto alle istituzioni un impegno più continuo sul territorio. Eccolo
ai nostri microfoni: R. – Noi siamo schiacciati da cent’anni
da questa cattiva erba che si chiama ‘ndrangheta, oltre a tutte le altre malattie
connesse. Evidentemente c’è qualcosa che non va nella lotta a questo terribile nemico.
Certamente, ci vuole l’impegno della società, l’impegno dei calabresi che, forse,
qualche volta sono latitanti. Ma ci vuole soprattutto un’azione dello Stato che sia
organica, decisa e continua. Non possono mettersi in moto quando muoiono sei persone
in Germania. E non possiamo più tollerare, come calabresi, che questa gente addirittura
se ne vada in Germania ad occupare spazi, attraverso i quali poi mettere a profitto
le grandi somme che riescono a fare con i loro malaffari. Quindi, evidentemente c’è
qualcosa che non va nella lotta a questo nemico che stritola la Calabria. Il ministro
Minniti ha messo in evidenza che lo Stato deve essere più presente, più attivo, più
impegnato, ma quello che ci interessa è che sia continuo, deciso ed organico. Non
bastano delle “leggine” fatte ad hoc quando succedono gli incidenti, ci vuole una
legge che faccia perno su tutta l’attività dello Stato e del governo in Calabria.
La
denuncia di mons. Cortese arriva a poco meno di un mese dalla nota pastorale contro
la mafia, pubblicata dai vescovi calabresi il 25 novembre scorso, intitolata ‘Se non
vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo’. Ma accanto agli inviti dei pastori
occorre una presa di coscienza coraggiosa dei cittadini, come spiega Mimmo Nasone,
responsabile dell’associazione “Libera” per la provincia di Reggio Calabria:
R.
– Bisogna lavorare tantissimo, educare le coscienze a questo senso di essere cristiani,
ma anche cittadini di questo mondo. Quindi, nessuno può autoassolversi, nessuno che
sia cristiano può prendere scorciatoie, tanto meno si possono fare sconti, rispetto
a quella che è la mentalità e la logica della ‘ndrangheta, che propone una via, una
scorciatoia, rispetto a quelle che sono le vie della giustizia, le vie di una cittadinanza,
che non è dipendente da nessuno, che non deve dire grazie a nessuno. L’unica via che
la mafia propone è quella della violenza, della coercizione fisica, del ricatto fino
ad uccidere le persone, per piegarle alla propria volontà, alla propria sete di potere.
I cristiani credo abbiano il dovere, proprio per essere degni di questo
nome, di vivere Cristo - lo dice la stessa parola - vivendo proprio quella che è l’essenza
del messaggio cristiano, che è la testimonianza dell’amore, che si incarna in prassi
di giustizia, in prassi di liberazione, che si incarna in una vita consumata non per
servirsi dei poveri, ma a servizio dei poveri, delle persone che fanno fatica. Quindi,
al primo posto c’è chiaramente quell’“avevo fame e sete di giustizia”, che è una delle
beatitudini di nostro Signore. Avere fame e sete di giustizia in Calabria, significa
non solo alzare la voce, come giustamente hanno fatto i vescovi; speriamo
che i cristiani in Calabria possano accogliere questo grido e, oltre a fare le denunzie,
abbiano la coerenza non solo di stare lontano e condannare il male per quello che
è il male della ‘ndrangheta, ma soprattutto di vivere una vita coerente con quelli
che sono i dettami del Vangelo.
Pur riconoscendo dunque le proprie responsabilità,
la Chiesa calabrese chiede una presenza più continua dello Stato sul territorio anche
dal punto di vista dell’assistenza sociale. Lo ricorda l’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova,
presidente della Conferenza episcopale calabrese, mons. Vittorio Mondello:
R.
– La Chiesa si impegna prima di tutto nella formazione spirituale, nella formazione
con la catechesi, in una formazione religiosa, quindi; ma si impegna anche attraverso
opere sociali, che vengono incontro a quelle che sono oggi le povertà emergenti, per
le quali dovrebbe intervenire lo Stato, ma per le quali interviene in una bassa percentuale.
C’è un impegno forte anche nel sociale, da parte della Chiesa, ma non c’è altrettanto
impegno da parte dello Stato.
D. – Mons. Mondello,
c’è il rischio a volte che gli stessi cristiani facciano finta di non vedere quanto
ormai la ‘ndrangheta sia inserita nella società calabrese?
R.
– No, questo rischio credo non ci sia. C’è un altro rischio, invece, per me. Vedendo
il disinteresse – chiamiamolo così – dello Stato, molti cittadini pensano di farsi
gli affari propri invece di esporsi, perché esponendosi non hanno una copertura, un
aiuto, da parte dello Stato. Qui, molti sono abbandonati a se stessi. Molti negozianti,
per esempio, sono costretti a pagare il “pizzo” e molte volte lo pagano per evitare
danni maggiori.