L’amarezza del patriarca Sfeir dopo l’ennesimo rinvio delle presidenziali in Libano
Il patriarca di Antiochia dei Maroniti cardinale Nasrallah Pierre Sfeir ha espresso
la sua amarezza per l’ennesimo rinvio, ieri, della sessione dell'assemblea legislativa
necessaria per eleggere il nuovo capo dello Stato in Libano. Il presidente del Parlamento
Nabih Berri ha rinviato il tutto al 29 dicembre, ultima data utile prima della pausa
dei lavori del Parlamento che si protrarrà fino al 15 marzo. Si tratta del decimo
rinvio in tre mesi, mentre la carica di presidente della Repubblica è vacante dal
24 novembre, data di scadenza del mandato di Emile Lahud. Delle conseguenze dei rinvii
e delle ragioni profonde del mancato accordo, Fausta Speranza ha parlato con
Camille Eid, esperto della realtà libanese del quotidiano Avvenire:
R. –
Il rinvio ha delle conseguenze nefaste sulla vita politica del Paese, perché sta a
dimostrare almeno agli occhi del mondo che i libanesi non riescono a gestire la cosa
pubblica da soli, quindi, che hanno sempre bisogno di un’assistenza dall’esterno.
Questo non giova assolutamente all’immagine del Libano, tornato sovrano e indipendente
due anni fa. Oltretutto, il rinvio alla data del 29 dicembre, vuol dire che dopo il
Parlamento non sarà più in sessione ordinaria e non potrà più riunirsi per eleggere
il presidente fino al 15 marzo.
D. – Il 29 dicembre
è una data che doveva essere fissata o veramente può succedere qualcosa nell'ultima
seduta prima della fine dell'anno?
R. – Può succedere
qualcosa, ma ormai le previsioni dei libanesi sono pessimiste.
D.
– Possiamo cercare di capire le ragioni essenziali del mancato accordo?
R.
– Le istituzioni non hanno un ruolo preciso in Libano. Manca all’appello il Consiglio
supremo della magistratura e il Parlamento non riconosce il governo. Il governo non
può appellarsi al Parlamento, dove comunque gode di una maggioranza anche se solo
relativa, perché il presidente del Parlamento e leader dell’opposizione chiude le
porte del Parlamento per evitare che la maggioranza dei parlamentari prenda una decisione
di un certo tipo. Quindi, abbiamo un conflitto tra istituzioni. I francesi, gli americani,
molto interessati in quest’ultimo periodo, speravano che il Parlamento dicesse la
sua dopo che maggioranza e opposizione avessero scelto un’unica figura come candidato
unico. Invece, non è stato così. Questo sta a dimostrare che all’apparenza le motivazioni
sono istituzionali e libanesi, ma dietro ci sono pressioni, ci sono interessi, non
sappiamo bene di chi. La maggioranza dice che si tratta di pressioni della Siria,
che l’Iran sta trattando sul dossier nucleare e la Siria sul Tribunale internazionale
che deve giudicare gli assassini dell'ex premier Hariri. Ognuno cerca di intralciare
l’arrivo del Libano alla soluzione per timore di arrivare a certe scadenze. E’ un
peccato, perché ciò sta a dimostrare soprattutto che il Libano è ancora, dopo 30 anni,
il palcoscenico preferito per discutere, per dibattere dei problemi del Medio Oriente,
sulla pelle dei libanesi.
D. – Pare di capire che
al di là delle personalità politiche c'è - come dire - un difetto di forma alla base,
nei meccanismi costituzionali e istituzionali del Paese...
R.
– C'è un difetto di forma che, però, nasconde interessi regionali, che vanno al di
là dell’interesse libanese.
D. – Qual è l'eco nel
Paese degli appelli del patriarca maronita Sfeir...
R.
– Il patriarca Sfeir è molto dispiaciuto, perché una soluzione che gli avevano sottoposto
i francesi era rappresentata da una lista, presentata dal patriarca, di alcuni nominativi
tra cui l’opposizione doveva sceglierne uno. Il patriarca ha presentato la sua lista
ma non è andata a buon fine. Addirittura il patriarca è amareggiato per la divisione
dei cristiani tra due schieramenti. L’unità dei cristiani, in questa circostanza storica,
poteva forse rappresentare la possibilità di portare le altre comunità a decidere,
soprattutto considerato che la carica del presidente della Repubblica in Libano è
la massima carica affidata ad un cristiano maronita, per l’appunto.