2007-12-05 12:40:57

Sottolineando la dimensione della Speranza nella sofferenza umana, il Papa lancia una sfida alla mentalità contemporanea: il commento sulla “Spe salvi” del prof. Antonio Maria Baggio


“La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente”: è uno dei passaggi chiave della seconda parte della “Spe salvi” di Benedetto XVI. Nell’Enciclica, il Papa sottolinea che una società incapace di “far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana”. Sulla dimensione della speranza nella sofferenza, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Antonio Maria Baggio, docente di Etica sociale alla Pontificia Università Gregoriana:RealAudioMP3


R. - Questo legame tra la speranza e la sofferenza si lega anche all’azione, ci indica certamente che chi agisce soffre. Ma in che senso questo? E’ un agire particolare quello cui fa riferimento il Papa: è l’agire in maniera pura, quello cioè che spera non nelle piccole speranze, nelle piccole cose, ma nella Speranza vera, quella che ci porta nelle cose di lassù, che ci porta direttamente a Dio, dunque oltre ciò che è sbagliato qui sulla terra. Ora nel far questo, nel lavorare per arrivare a questo, sapendo che poi è Dio che dona alla fine nella sua pienezza questa realtà, non la possiamo costruire noi uomini; però nel cercare di renderci disponibili a questa azione di Dio, il Papa sottolinea: “Noi abbiamo bisogno di agire nella sofferenza, per questo la speranza è legata alla sofferenza, perché ci permette di vedere e di vedere soprattutto che dentro di noi c’è già un dono che è stato fatto, sia personale, sia per l’umanità”. Quindi la speranza è quel dono che noi riconosciamo in noi, quel germe che deve crescere e può crescere soltanto soffrendo, cioè togliendo gli ostacoli, le cose che passano e che ci impediscono di vederlo.

 
D. – In un altro passaggio, il Papa sottolinea che per quanti progressi possano compiere la scienza e la medicina, essa non può redimere l’uomo. Questo spetta all’amore. E’ un’affermazione forte, una sfida se vogliamo, alla mentalità contemporanea?

 
R. – Sì, è vero, è un’affermazione formidabile! Il Papa svolge la sua analisi partendo addirittura da Bacone, cioè dal modo con il quale viene pensata la scienza moderna. Il Papa sottolinea che dietro a questa idea dell’azione nella società, e anche della conoscenza scientifica, c’è sempre un aspetto politico, un aspetto di potere. Quindi, né la scienza, né la politica, sanno realizzare in maniera piena quella speranza che pure l’uomo sente profondamente dentro di sé. La bellezza di questa Enciclica è che ci fa capire come anche i piccoli atti di amore, di donazione quotidiana, sono un contributo da portarsi al di là di questi miti del mondo contemporaneo, che riguardano la scienza e la politica, ai quali non possiamo credere perché non sono oggetto di fede! Fede e speranza ci sono solo per le cose più grandi.

 
D. – Come dunque il cristiano può far fruttificare questi documenti, Deus caritas est e Spe salvi, di Benedetto XVI nella vita di ogni giorno?

 
R. – Io ricordo un amico medico che era scienziato, un uomo sapiente. Si chiamava Cosimo Calò; si era specializzato nel seguire i malati terminali e lui diceva: “A mano a mano che una persona si spegne, se sa vivere il suo dolore con amore, se sa capire questo dolore con amore, se sa capire che questo dolore è il mezzo con il quale le parti superflue vengono tolte, si vede in lui la trasparenza. Il malato può anche non essere nella luce ma noi che lo guardiamo, vediamo più che mai, la presenza di Dio in lui”. Il dolore, il saper soffrire, ci aiuta a vedere meglio le cose. Il dolore che è amato, dice Chiara Lubich, diventa “super amore” cioè diventa amore efficace che sa trasformare. Questa, credo, sia l’indicazione pratica, concreta, di un'Enciclica estremamente intellettuale, ma anche estremamente semplice.







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