Le sfide del materialismo per la Chiesa e l’impegno per la riconciliazione tra la
Corea del Sud e la Corea del Nord, nel discorso del Papa ai vescovi coreani in visita
ad Limina
Le sfide pastorali per la Chiesa coreana al centro dell’udienza di Benedetto XVI
ai vescovi del Paese asiatico in visita ad Limina insieme a mons. Venceslao Padilla,
prefetto apostolico di Ulaanbaatar in Mongolia, dove i cattolici sono poche centinaia.
Il Papa ha incoraggiato in particolare le iniziative di riconciliazione tra la Corea
del Sud e la Corea del Nord. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Il
richiamo del materialismo e gli effetti negativi di una mentalità secolarizzata” preoccupano
i vescovi coreani. “Quando uomini e donne sono portati via dalla dimora del Signore
– ha osservato il Papa - questi inevitabilmente vagano in un deserto di isolamento
individuale e di frammentazione sociale”, perché “è solamente nel Verbo incarnato
che il mistero dell’uomo trova vera luce”. “Da questa prospettiva
è evidente – ha detto Benedetto XVI ai presuli – che per essere effettivi custodi
di speranza voi dovete sforzarvi di assicurare che il legame di comunione che unisce
Cristo a tutti i battezzati sia salvaguardato e sperimentato come il cuore del mistero
della Chiesa”. E “la porta per questo mistero di comunione con Dio – ha spiegato il
Santo Padre - è naturalmente il Battesimo. Questa sacramento di iniziazione, molto
più che un rito sociale o di benvenuto in una particolare comunità, è l’iniziazione
a Dio”. Da qui la crescente apprensione dei presuli coreani di fronte ai non pochi
fedeli adulti che ogni anno vengono meno all’impegno di una piena partecipazione alla
celebrazioni liturgiche, “un diritto e un obbligo in ragione del Battesimo”. Benedetto
XVI ha invitato quindi i vescovi asiatici a mettere in luce l’importanza della Messa
domenicale, sollecitando in particolare i laici, specie i giovani “ad esplorare la
profondità e l’ampiezza” della celebrazione eucaristica. Il
Papa ha raccomandato poi di promuovere il matrimonio e la famiglia e di porre attenzione
alla formazione anche su questioni attinenti le scienze biomediche. Infine l’incoraggiamento
di Benedetto XVI per tutte le iniziative di riconciliazione intraprese per il benessere
dei fratelli nella Corea del Nord. Ricordiamo che la Corea,
già sottoposta alla sovranità giapponese, è stata nel ’45 occupata al nord dalla Russia
e al Sud dagli Stati Uniti, poi separata in due Stati nel ’48, travolta quindi all’inizio
degli anni ’50 da un sanguinoso conflitto; oggi dopo oltre mezzo secolo in via di
una ricercata e complessa pacificazione, dove i cattolici che sono 5 milioni concentrati
nella Corea del Sud stanno giocando un ruolo positivo. Ascoltiamo
ora il presidente della Conferenza episcopale della Corea, mons. John Chang Yik,
intervistato da Philippa Hitchen:
R. –
Le sfide sono tante. Il problema, però, in una società come la nostra, dove la Chiesa
è piccola e minoritaria, è la convivenza con le altre religioni, nonostante il relativismo
e l’individualismo della cultura in generale nella nostra epoca consumistica, che
è assai difficile. Tentiamo di farlo attraverso l’educazione, attraverso le testimonianze,
soprattutto della vita dei cristiani, cosa che non è facile. Tentiamo di coltivare
le piccole cellule viventi della comunità. Ogni parrocchia è divisa in piccoli settori,
dove la gente si conosce e si riunisce per formare la comunità. Tentiamo in questo
modo di ravvivare le cellule viventi, il senso di appartenenza, il senso di missione
da parte della gente, non solo per conservare la Chiesa cattolica, ma per vivere in
modo da testimoniare veramente, attraverso la propria vita, la fede vissuta, il Vangelo. D.
- La vostra Conferenza episcopale ha giurisdizione anche sulla Corea del Nord, che
vive una situazione molto difficile. Che cosa potete fare per aiutare la gente nella
Corea del Nord? R. – Abbiamo sì la giurisdizione, ma non
abbiamo un libero accesso al Nord. Quindi, tentiamo di offrire aiuti umanitari in
diversi modi e non cesseremo di farlo, distinguendo il regime dal popolo; puntiamo
al benessere del popolo, soprattutto, delle persone nella loro dignità umana. Questa
è la cosa più importante. Non strumentalizziamo l’aiuto come mezzo di evangelizzazione,
ma lo facciamo perché è un valore in sé.