Solidarietà verso gli "homeless" per frenare il dramma silenzioso della loro miseria:
lo hanno invocato il card.Martino e mons. Marchetto alla 1^ Conferenza internazionale
sulla Pastorale per i senza dimora
Una preoccupazione umana ed ecclesiale”, che chiede risposte in grado di arginare
il dramma quotidiano e semisconosciuto dei senza fissa dimora. Lo hanno invocato ad
una voce il cardinale Renato Raffaele Martino e l’arcivescovo Agostino Marchetto,
rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale
dei migranti e degli itineranti, entrambi intervenuti questa mattina, a Roma, al primo
Incontro internazionale di Pastorale per le Persone senza fissa dimora, organizzato
dal dicastero vaticano. I particolari, nel servizio di Alessandro De Carolis: Muoiono
nel silenzio che ha accompagnato la loro vita di “invisibili”. Cinquantamila senza
tetto, ogni giorno, cadono vittime della loro miseria che non fa notizia, se non per
chi si è votato alla loro assistenza. Sono uomini e donne, vecchi e ragazzini, vittime
dei ripari fatiscenti in cui bivaccano, dell’acqua malsana alla quale troppe volte
accostano le labbra, della carenza di igiene che li espone alle malattie. In altri
termini, vittime di un ordine sociale “imperfetto, ineguale, ingiusto”, rispetto al
quale “coloro che appartengono ad altri ambiti della società hanno praticato una ‘amnesia
selettiva’”. E’ lo scenario generale delineato da Marchetto nel suo intervento alla
Conferenza di Roma, che segna - ha ricordato - il terzo di una serie di incontri organizzati
dal dicastero vaticano circa la cosidetta “Pastorale della strada”. Le cifre esposte
dal segretario del Pontificio Consiglio per i migranti evocano immagini di baraccopoli
di tutto il mondo - con i 100 milioni di ragazzi di strada che si stima le popolino
- o dei milioni di senza fissa dimora che sono in scia al ricco Occidente: almeno
tre milioni in Europa e tre e mezzo negli USA, metà dei quali ragazzi, senza contare
ovviamente i continenti dove la povertà è una piaga che ancora oggi sanguina in modo
copioso. A seconda della latitudini, ognuno di questi invisibili viene chiamato homeless
o clochard o barbone o pudel, ma la loro esistenza, ha osservato mons. Marchetto,
pur non inquadrabile in “una sola entità” si riassume in un’identico risultato finale:
la “perdita della dignità e del diritto fondamentale alla casa”.
Tuttavia,
ha obiettato il presule, “soddisfare le necessità umane fondamentali offrendo riparo,
alloggio, cibo, vestiti, calore, cure sanitarie e così via, è solo l’inizio dell’opera”.
C’è, nel profondo di ogni persona senza dimora una necessità “più grande”: quella
di “essere accettata e trattata con dignità”. Questo obiettivo è ben chiaro ai molti
Istituti religiosi o organizzazioni cattoliche, come ad esempio la Caritas, che si
occupano dei senza dimora e il cui lavoro è stato ampiamente apprezzato dal presule.
Proprio sulla base dell’esperienza fin qui acquisita, mons. Marchetto ha delineato
cinque direzioni per orientare la solidarietà in questo specifico settore sociopastorale:
anzitutto, eliminare gli stereotipi che condizionano il giudizio sui senza casa da
parte della gente, turbata dalla loro non convenzionalità. Quindi, aiutarli rispettando
la loro sfera vitale, con un equilibrio - ha distinto mons. Marchetto - “attento tra
aiuto e libertà, tra vicinanza e distanza”. Terzo, elaborare un “ministero cristiano
specifico”, evitando nel caso degli homeless forme di “proselitismo”. Quarto, tenere
presente che il loro reinserimento in famiglie o comunità non è mai facile e, addirittura,
talvolta “impossibile” né “auspicabile”, per via della “vulnerabilità” dei soggetti,
la cui storia personale potrebbe renderli ostili a un ritorno al passato che a loro
appare invece come un “futuro incerto”. Infine, approfondire il fenomeno con un’adeguata
riflessione ecclesiale. In questo caso, ha proposto mons. Marchetto, si potrebbe pensare
alla “creazione di coalizioni di ampia portata tra organizzazioni laiche e religiose
per operare insieme in questo processo di cambiamento e rinnovamento”.
Introducendo
i lavori della Conferenza, il cardinale Martino aveva rammentato ai partecipanti i
passi principali compiuti dal magistero ecclesiale in questo campo. Benedetto XVI,
ha ricordato, insiste nella Deus caritas est sull’amore che nasce da Cristo e dunque
sulla “dedizione” che ne scaturisce: “Non è sufficiente – scrive il Papa - donare
cose temporali, ma dobbiamo essere ‘presenti a livello personale’ in tutto ciò che
facciamo, secondo il modello offerto dalla parabola del buon Samaritano”: per esso,
“la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata
situazione, costituisce la necessità immediata: gli affamati devono essere saziati,
i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati visitati”.
Ma in definitiva, la carità cristiana supera la filantropia, poiché - afferma Benedetto
XVI - ci chiede di “imparare a vedere con gli occhi di Cristo e a stare con gli altri
secondo la Sua prospettiva”.