2007-11-27 14:32:45

Alla Conferenza di Annapolis, presente anche la Santa Sede con una delegazione guidata da mons. Parolin


E’ tutto pronto ad Annapolis per la conferenza di pace sul Medio Oriente. Il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen, sono giunti negli Stati Uniti ed entrambi hanno espresso l’auspicio per “negoziati seri”. Per la Casa Bianca, l’obiettivo rimane quello della stesura di un documento finale, nonostante finora non si sia trovato alcun accordo. Alla Conferenza, partecipa anche la Santa Sede con una delegazione guidata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Piero Parolin. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3


L’obiettivo, fissato dal presidente statunitense, George Bush, è la convivenza “tra due Stati democratici, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza”. Non mancano segnali positivi: il portavoce del Ministero degli esteri dello Stato ebraico ha confermato che i negoziatori israeliani e palestinesi hanno compiuto “importanti progressi verso un comunicato congiunto”. In molti sono convinti che, anche se non produrrà nessun risultato eccezionale, la conferenza di Annapolis sia comunque già un successo. E’ quanto sostiene, tra gli altri, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur intervistato da Luca Collodi:

R. - Annapolis è giù un gran successo, un grandissimo successo e questo anche un’ora prima dell’apertura. E questo successo si trova nel fatto che finalmente - ripeto finalmente - con grande gioia, con grande attesa e con grande realismo, il mondo arabo, la maggior parte del mondo arabo, ha deciso di andare avanti, di accettare il fatto che ci debba essere una via di uscita a queste tragedie che hanno colpito le due parti. Dico, quindi, un grande successo. Grazie a Dio, per la prima volta, Annapolis e il giorno dopo non dipenderanno molto dai titoli dei giornali ma dalla vera voglia del mondo arabo e dei palestinesi - che penso nella maggior parte vogliano la pace e vogliano essere lasciati in pace, che è per noi è la stessa cosa - di dare un avvio a questo processo così voluto e così mancato.
 
Ma nello Stato ebraico e nei Territori palestinesi non mancano forti scetticismi. In Israele all’ottimismo del premier, Ehud Olmert, si contrappone l’oltranzismo dell’ala dura della destra, sia all’interno della coalizione di governo, sia del Likud. Al summit non è stato invitato inoltre il movimento palestinese di Hamas, che ha già annunciato di voler ignorare le decisioni del vertice. Nella Striscia di Gaza, per dimostrare che Abu Mazen non gode dell’appoggio della popolazione di Gaza, Hamas ha anche indetto una manifestazione davanti al parlamento. Alla protesta hanno aderito anche la Jihad islamica e altri gruppi estremisti. Secondo alcuni osservatori, le intenzioni del premier israeliano e del presidente palestinese possono poi diventare ostaggio di pericolosi estremismi. Ascoltiamo al microfono di Fabio Colagrande, il giornalista palestinese, Samir Al Qariouti, corrispondente della radio televisione palestinese a Roma ed opinionista di diverse testate arabe tra cui Al-Jazeera:

R. - I due che sono ostaggio dell’estremismo sono entrambi deboli. Abu Mazen non ha una base popolare che lo può sostenere: ha tante divergenze con Hamas, che naturalmente lo invia a questo vertice ancora più debole. Olmert, da parte sua, cerca soltanto di arrivare ad un obiettivo personale: cancellare il suo fallimento nella guerra del Libano. La partecipazione dei Paesi arabi è importante, ma dovrebbe aiutare la pace e non fare un favore ad Israele, perché per partecipare tutti alla fine poi non si ottiene niente.

 
D. - Come la gente guarda a questo vertice? Avete dei riscontri?

 
R. - Si riscontra che c’è molto scetticismo. Basta girare sui siti Internet. Da parte israeliana ci sono tanti problemi nel Paese e ci sono tante dichiarazioni contraddittorie, perché il problema è l’Iran e non la questione palestinese o la questione della pace in Medio Oriente. Come quella di risolvere il problema dell’Iran.

Fa comunque sperare l’ampia partecipazione internazionale: alla Conferenza, infatti, prendono parte quasi 50 delegazioni. Quella della Santa Sede sarà guidata da mons. Pietro Parolin, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Ci sono anche rappresentanti sauditi e siriani. “La Siria - fanno sapere esponenti del governo di Damasco - continua ad essere impegnata nell’iniziativa araba di pace”. La partecipazione saudita alla conferenza riveste, infine, particolare importanza per il ruolo politico e religioso di questo Paese nel mondo arabo. L'Arabia Saudita, che non ha rapporti con Israele come la maggior parte degli arabi, propone la normalizzazione dei rapporti in cambio di una pace globale.







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